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Non è una bocciatura della dieta mediterraena, è semmai un segnale d'allarme sul peggioramento della qualità delle scelte alimentari complessive in relazione all'irrompere, quasi dieci anni fa, della più grave recessione del dopoguerra.

Non è una bocciatura della dieta mediterraena, è semmai un segnale d'allarme sul peggioramento della qualità delle scelte alimentari complessive in relazione all'irrompere, quasi dieci anni fa, della più grave recessione del dopoguerra. Lo lancia un'indagine, pubblicata sul Journal of Public Health, e realizzata dai ricercatori italiani dell'Irccs Neuromed (col sostegno di una borsa della Fondazione Veronesi) di Pozzilli, in provincia di Isernia, istituzione di punta nella ricerca sulla salute alimentare, e in particolare sull'obesità.

Lo studio è stato condotto su oltre 1.800 italiani tra i 28 e gli 83 anni. E' emerso anzitutto che oltre una persona su cinque ha modificato le proprie abitudini alimentari a causa della crisi. Scomponendo poi quel dato su variabili socio-economiche e territoriale, l'incidenza è risultata massima tra le fasce più deboli.  “La tendenza a modificare l'alimentazione per effetto della recessione risulta maggiore per chi vive al Centro o nel Sud Italia, ma anche fra le persone con un livello d'istruzione più basso o con reddito familiare medio-basso, fra i disoccupati e fra chi svolge lavori manuali”, spiega l'epidemiologa Marialaura Bonaccio.

Notevole, in particolare, l'impatto su uno dei capisaldi della dieta mediterranea, il pesce, il cui consumo è stato ridotto dal 68% delle persone che hanno vissuto un peggioramento delle proprie condizioni, mentre è rimasto stabile l'acquisto dei cibi a più buon mercato, e in particolare i cereali. Si è insomma introdotto un grave fenomeno di “discriminazione alimentare”, che rilancia l'urgenza di risposte adeguate, nell'ambito dell'assistenza sanitaria e, più in generale, della lotta alle diseguaglianze.

L'effetto è anche sulla qualità dei prodotti acquistati, oltre che sulla quantità. “Alcuni ipotizzavano che la crisi potesse anzi diventare terreno fertile per limitare il consumo di alimenti non proprio benefici come prodotti lavorati, o 'osservati speciali' come la carne rossa”, nota Bonaccio, spiegando che l'indagine – così come uno studio analogo effettuato in Grecia – ha del tutto smentito tale ipotesi.

A essere smentito è anche l'ultimo Bloomberg Global Health Index, che quest'anno aveva promosso l'Italia quale “Paese al mondo dove la salute è migliore nonostante la crisi”. Che non fosse vero lo ha documentato tra l'altro un rapporto dell'Istat: siamo tra i più longevi, certo, e lo siamo anche grazie alla stessa dieta mediterranea, ma ci ammaliamo più spesso di altri, specie in età avanzata. E se questo avviene, è anche perché, a quanto pare, mangiamo peggio.

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