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Oggi in Italia i casi accertati di qualche forma di demenza sono oltre 1,6 milioni e i familiari coinvolti in qualche modo nell’assistenza sono circa il doppio.

Le cattive notizie tendono a far più “notizia” di quelle buone, anche sulla salute. Non è un caso dunque se l’annuncio di una multinazionale farmaceutica circa la rinuncia alla ricerca sull’Alzheimer ha trovato, purtroppo, un’eco ben più alta rispetto alle novità promettenti in materia.

 “Se ci abbandonano anche le farmaceutiche siamo alla canna del gas”, commenta amaramente  la presidente dell’Associazione italiana malati di Alzheimer, Patrizia Spadin, consapevole della crescente diffusione della patologia: già oggi in Italia i casi accertati di qualche forma di demenza sono oltre 1,6 milioni e i familiari coinvolti in qualche modo nell’assistenza sono circa il doppio.

Preoccupazione legittima anche se, per fortuna, come nota Il Sole 24 Ore Sanità, la rinuncia alla prosecuzione degli studi è una scelta isolata. Secondo il neurologo Paolo Maria Rossini, del Policlinico Gemelli di Roma, l’azienda interessata deve aver valutato di “essere un po' indietro nelle fasi di sviluppo, mentre ci sono tante altre grosse multinazionali che stanno sviluppando, anche a livello clinico, molecole nuove su questa malattia”.

Sulla ricerca generale si annunciano dunque nuovi passi e iniziative di rilievo. Il mese scorso, al ministero della Salute, in collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco, è stato annunciato un progetto, chiamato “Interceptor” che consiste in uno screening della popolazione a rischio da parte di diversi centri specializzati, partendo da un gruppo di 400 pazienti tra i 50 e gli 85 anni, per affinare la determinazione dei fattori di rischio della malattia di Alzheimer, e quindi per ottimizzare la distribuzione di nuovi medicinali annunciati nel breve-medio periodo. “Quando arriveranno saremo pronti a curare migliaia se non milioni di persone in modo appropriato e sicuro”, ha detto la ministra Lorenzin.

Una corretta diagnosi precoce costituisce in effetti uno degli strumenti più essenziali e immediati, su cui possono contribuire anche le nuove tecnologie. In questi giorni l’ospedale Molinette di Torino, capofila del progetto My-AHA (“My Active and Healthy Ageing) ha annunciato un’iniziativa internazionale in cui si valuteranno i rischi e l’evoluzione della patologia in 600 pazienti (80 nel capoluogo piemontese) utilizzando dispositivi come occhiali “sensoriali” e smartphone per  assemblare rapidamente i dati sull’equilibrio corporeo, i movimenti oculari e le capacità cognitivo-mnemoniche.

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