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Ė uscito un comunicato dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) nei giorni scorsi, che, a prima vista, sembra dire poco. I dati risultano infatti pressoché costanti nell’ultimo triennio sull’uso complessivo dei cosiddetti “antidepressivi”. Ma, a ben vedere, spuntano due problemi non da poco.

Le lunghe crisi di governo, il famigerato “spread” che va giù e soprattutto su, i dati sul lavoro che si evolvono nel bene o nel male a seconda dell’angolo da cui si guardano, le scorie della più grave recessione del dopoguerra, la paura che ne arrivi un’altra, i problemi personali di ciascuno, che col passare degli anni sembrano aumentare anziché sgonfiarsi. I motivi di angoscia sono oggettivamente tanti, e se si vuole davvero misurare lo stato d’animo del nostro Paese, a iniziare dalla nostra salute, i dati sul consumo di ansiolitici possono costituire un buon indicatore.

Veritiero e amaro, purtroppo. Ė uscito un comunicato dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) nei giorni scorsi, che, a prima vista, sembra dire poco. I dati risultano infatti pressoché costanti nell’ultimo triennio sull’uso complessivo dei cosiddetti “antidepressivi”. Ma, a ben vedere, spuntano due problemi non da poco. Il primo è che quelle cifre sono comunque notevoli: almeno 3,6 milioni di italiani hanno ricevuto almeno una prescrizione di questo tipo di farmaci nell’ultimo anno. Il secondo è che emerge un aumento del consumo di ansiolitici, ipnotici e sedativi. Ė definito “lieve”, ma arriva invece alla notevole cifra, su base annua, dell’8%.

Aifa a detti stretti dall’Aifa lancia l’allarme. “Un campanello sugli aumentati livelli di stress e disagio psichico nella quotidianità”, nota lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore della più affollata Asl italiana, Roma 2, notando “una crescente solitudine, un futuro incerto e una sempre maggiore incapacità di gestire le frustrazioni”. Il nodo qui non è quello di un “abuso” di farmaci, spesso preziosi e necessari, ma quel che c’è dietro la necessità di ricorrervi.

Ed è un allarme da prendere sul serio, perché gli stati depressivi sono tra l’altro forieri di rischi aumentati di patologie neuro-degenerative. Un nuovo riscontro arriva dall’Università del Sussex, in Inghilterra, con una pubblicazione scientifica sulla rivista Psychological Medicine, che riassume le conoscenze attuali tramite una “revisione” di ben 34 ricerche pregresse in materia che coinvolge nell’insieme 71mila persone.

L’esito è una chiara conferma del nesso. Il declino cognitivo, legato fisiologicamente all’età, è decisamente più rapido nei soggetti che soffrono di disturbi depressivi, mentre l’essere di “indole positiva” ha un rilevante effetto “anti-ageing”. Si dice solitamente che “la salute è la prima cosa”, ma non siamo coerenti. Soprattutto, tendiamo a dimenticarci che la “salute” in oggetto è anzitutto “mentale”. Qualunque sia il problema del giorno, abbiamo il diritto, e anche il dovere – verso noi stessi e chi ci sta accanto – di ricercare il buonumore. Se il problema è il lavoro, un lavoratore infelice finirà per essere improduttivo. Se il problema è la vita, a maggior ragione, merita una nostra attenzione quotidiana. Alla felicità, prima che a tutto il resto. Ce la meritiamo, ed è la nostra salute a richiederla.

 

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