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Dal Campus Biomedico di Roma l’annuncio di un intervento innovativo di “reinnervazione muscolare mirata”, che consente di muovere l’arto col solo pensiero. La ricerca e la prassi in materia sono in rapida accelerazione. Con un’avvertenza, dagli ortopedici stessi: la protesi va fatta solo quando strettamente necessaria

Ci sono oltre 700 italiani che ogni anno perdono un braccio, a causa di incidenti stradali, domestici o sul lavoro. Per loro, solitamente, la speranza è perlopiù quella di una “protesi cosmetica”, insufficiente a compiere movimenti autonomi. La prospettiva sembra però poter cambiare, con la notizia di un intervento assai innovativo al Policlinico Campus Biomedico di Roma su una 27enne, che le permetterà, a quanto pare, di muovere l’arto solo grazie a impulsi cerebrali. 

La prima parte dell’operazione è stata effettuata con successo, la seconda è prevista tra pochi mesi, e sarà seguita da un percorso riabilitativo per addestrare la paziente al nuovo dispositivo. La tecnica è quella della “reinnervazione muscolare mirata”, che permette di riattivare la “comunicazione” tra le terminazioni dei nervi e la protesi. Nel primo intervento “si è dovuto prima denervare il grande muscolo pettorale e altre fasce muscolari, quindi prendere dal plesso brachiale i tre grandi nervi residui, radiale, mediano e ulnare, che muovono mano e polso, e applicarli alle fibre muscolari”, spiega Giovanni Di Pino, co-responsabile del progetto.

Operazione delicata e complessa, dunque. “La protesi è di tipo modulare, ovvero costituita da più moduli per il ripristino delle articolazioni di gomito, polso e mano e, in fase sperimentale, anche di spalla”, spiega Loredana Zollo, responsabile ingegneristica del piano, citando anche l’impiego di sofisticati algoritmi per calibrare i segnali tra gli impulsi neurali e il braccio meccanico.

Medicina, ingegneria e algebra insieme, dunque. In effetti l’ambito delle protesi ortopediche è in rapida crescita. Quelle al ginocchio si sono raddoppiate nell’ultimo anno in Italia, per la spalla si sono addirittura quintuplicate, anche se è l’anca a detenere ancora il primato, con oltre la metà degli interventi. In totale, ne vengono effettuati quasi duecentomila l’anno,solo nel nostro Paese. Dati che trovano riscontro anche negli Stati Uniti, con l’esito, rilevato dall’Università della Pennsylvania, che l’età media degli interventi si sta rapidamente abbassando.

Tutto bene? Sì, ma con un’avvertenza molto seria. Non si tratta di operazioni da scegliere con leggerezza, se non quando assolutamente necessarie. “L’artroprotesi non perdona errori, serve una protesi di qualità ma anche un chirurgo esperto e una riabilitazione adeguata”, ricorda la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia. Va insomma effettuata solo se strettamente necessaria, e non quando si tratta di disturbi e patologie su cui esistono alternative farmacologiche, terapie infiltrative, strategie ortopediche e altro. “Queste sostituzioni hanno una durata limitata – aggiungono gli esperti - con l’aggravante che la seconda operazione non ha lo stesso successo dell’intervento iniziale, richiede più tempo e il paziente ha vent’anni di più”, con rischi aumentati di complicanze

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