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Non mancano i fallimenti nelle terapie antalgiche, né l’alimentazione, di per sé, appare un fattore di sollievo. Eppure i due “ingredienti”, insieme, sembrano funzionare parecchio. Da una ricerca italiana, la dimostrazione di come l’azione di un periodico “digiuno” possa essere preziosa, anche per aumentare l’efficacia dei trattamenti farmacologici

La qualità delle abitudini alimentari non è decisiva, da sola, nella terapia antalgica. Tuttavia può essere un supporto essenziale, che può garantire l’efficacia di trattamenti, farmacologici e non solo, contro il dolore. Da una ricerca italiana arriva un riscontro scientifico di rilievo, pubblicato sulla rivista Faseb Journal, che rilancia l’esigenza di un approccio integrato nelle terapie contro la sofferenza, e in particolare verso il dolore neuropatico.

“A oggi in dolore neuropatico non risponde alla maggior parte dei classici farmaci analgesici”, sostiene il coordinatore dello studio Sabatino Maione, ordinario di farmacologia all’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ribadendo l’obiettivo di scovare “nuovi meccanismi molecolari e substrati cellulari e anatomici” alla base del dolore. Gli antidolorifici possono aiutare, e parecchio, ma in molti casi serve anche qualcos’altro.

E quell’altro può trovarsi in quel che si mangia, ma anche che non si mangia.

Gli studiosi campani hanno identificato un recettore, l’HCAR2, rilevandone l’alto potenziale analgesico. E poi hanno documentato come esso venga stimolato da un’altra sostanza, il beta-idrossi-butirrato (BHB). Ebbene, quest’ultimo viene prodotto in grandi quantità in presenza di digiuno prolungato o di dieta a bassissimo contenuto di zuccheri. Il che avrebbe di per sé un effetto antidolorifico, e per giunta alimenterebbe l’azione degli antidolorifici. 

“Nessuna delle terapie attuali riesce ad azzerare il dolore neuropatico”, riconosce anche la Fondazione Veronesi, che aggiunge: “Il nome del farmaco non conta”.

Esiste dunque un potenziale nella corretta associazione tra alimentazione e farmaco contro il dolore, e una strategia controllata di momenti di digiuno sembra una strada promettente. L’aspetto rilevante, nella terapia antalgica, è che non c’è una variabile unica, bensì serve un approccio “olistico”. Un’altra ricerca ha documentato come l’attività fisica e un’alimentazione povera di grassi, insieme, possano aiutare parecchio, non solo sul dolore ma anche nella prevenzione di patologie come il diabete. La parola chiave è dunque “insieme”, ossia una strategia integrata, di cui il cibo, o anche la sua periodica assenza, è un documentato tassello.

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