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Le capacità intellettive non c’entrano con i disturbi dell'apprendimento come la dislessia, ma questi possono avere conseguenze psicologiche serie. Vanno dunque trattati per bene, sapendo che i percorsi terapeutici sono solitamente efficaci, mentre gli errori pedagogici risultano deleteri.

Dislessia, discalculia, disgrafia, disortografia. Sono tanti e variegati i cosiddetti “disturbi specifici dell’apprendimento”, su cui permane un velo di omertà e di ignoranza, come se definissero un qualche “handicap di intelligenza”, che non è affatto. Al contrario, coinvolgono spesso bambini (e non solo) di spiccate capacità intellettive. Si tratta di un’inabilità specifica di rappresentare le parole, i suoni o anche i segni grafici, la cui origine è in parte misteriosa, attribuita comunque, perlopiù, a un’origine genetica complessa (non c’è un “gene della dislessia").

Le capacità intellettive non c’entrano dunque, ma i disturbi possono avere conseguenze psicologiche serie. Vanno dunque trattati per bene, sapendo che i percorsi terapeutici sono solitamente efficaci, mentre gli errori pedagogici risultano deleteri. Il dato di partenza è proprio questo: i ragazzi che ne soffrono lamentano anche bassi livelli di autostima, per la costante paura di essere “etichettati” in modo degradante, il che, in un circolo vizioso, alimenta rischi di depressione e altri disagi psico-fisici.

Il dato di base, spiega il psicologo Andrea Novelli, membro del direttivo dell’Associazione Italiana Dislessia, è che “quando si fallisce in un’attività intrapresa, si sperimenta la sensazione di impotenza che porta alla volontà, limitata nel tempo, di non intraprendere alcuna altra azione”. E il fallimento tipico è quello scolastico, il che chiama alla responsabilità – e alla preparazione – gli insegnanti, oltre che i genitori. “Tendono a concludere che il bambino è svogliato, cioè danno una spiegazione personalizzante, che lede in maniera gravissima l’autostima del bambino, poiché sviluppano la sensazione di impotenza”, spiega Novelli.

Nella tenaglia tra lo “sgridare il ragazzo” e quella di puntare invece sul “rafforzamento dell’autostima” non c’è quindi alcun dubbio. La persona va aiutata a potenziare le proprie potenzialità “tecniche” e allo stesso tempo sostenuta con forza per limitare le sensazioni di “fallimento” legate al proprio disturbo. A questi concetti è stata dedicata anche la recente “Settimana Nazionale della Dislessia”, con l’obiettivo di sensibilizzare e informare, anzitutto il mondo degli adulti, sulla natura e la gestione di un problema che coinvolge almeno il 3% della popolazione.

Ricordando loro anche qualche nome tra i “deficitari” che soffrono di tale problema: il celebre cantautore libanese-britannico Mika, che fatica a leggere uno spartito ma sa cantare e suonare tutto; l’amata attrice Jennifer Aniston; il leggendario Steven Spielberg. Anche loro hanno sofferto in passato di autostima, mentre in realtà sviluppavano talenti straordinari.

 

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