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A pesare, probabilmente, la frequenza dei trattamenti prescritti e magari l'istinto a prendersi qualche “pausa” in relazione a provvisorie sensazioni di benessere.

È uno dei problemi più dibattuti nella medicina dei nostri giorni, talmente diffuso da sfuggire a volte perfino all'attenzione degli operatori sanitari. È noto da vent'anni che, tra le terapie maggiormente esposte a una scarsa “aderenza”, ossia a un cattivo utilizzo o all'abbandono dei farmaci a detrimento degli effetti terapeutici, svetta il diabete di tipo 2. A pesare, probabilmente, la frequenza dei trattamenti prescritti e magari l'istinto a prendersi qualche “pausa” in relazione a provvisorie sensazioni di benessere. A rilanciare l'attenzione sul tema è ora la pubblicazione, sulla rivista Diabates Care, degli esiti di uno studio in materia del Boston Children's Hospital. I ricercatori hanno riesaminato i dati clinici di oltre 52mila pazienti, di cui  quasi 23mila sottoposti ad un trattamento “di seconda linea”, dopo il fallimento delle terapie di prima istanza. L'alta incidenza di questi ultimi - quasi la metà delle persone osservate -  è di per sé ritenuta dagli studiosi un indicatore di conti che non tornano. In effetti, approfondendone la storia pregressa, è emerso che solo l'8,2% dei pazienti di seconda linea aveva seguito correttamente la terapia coi farmaci di prima linea nei due mesi precedenti al cambio di trattamento. Addirittura, il 28% non li aveva assunti affatto. La poca aderenza alle terapie è un rischio concreto per la salute, specie in età avanzata, come documentato anche da un recente convegno di Federanziani, che richiama alla responsabilità l'intero settore socio-sanitario, inclusi medici, farmacisti, familiari e fa appello anche all’utilizzo delle nuove tecnologie a supporto di una maggiore adesione dei pazienti al  corretto percorso terapeutico. La ricerca Boston Children's Hospital svela peraltro una problematica ulteriore. Una cattiva aderenza terapeutica porta con se il rischio di ripercussioni anche sull'appropriatezza delle prescrizioni. “Apparenti fallimenti del trattamento farmacologici vengono spesso confusi con la scarsa aderenza terapeutica”, documentano gli scienziati americani. In altre parole, accade che i medici prescrivono erroneamente medicinali “di seconda linea”, magari più aggressivi, presumendo l'inadeguatezza di quelli prescritti in precedenza, mentre magari il problema sta solo  nel solo fatto che “i primi” sono stati semplicemente usati male.

 

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