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Il problema si riscontra soprattutto nel Lazio, Puglia, Campania e Toscana, e a questo si aggiunge l’indisponibilità delle Regioni solitamente eccedentarie a compensare e addirittura la carenza presso le Regioni Lombardia e Piemonte

“È la più grave epidemia di influenza stagionale in Italia dal 2004”, nota il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) Walter Ricciardi. Insomma il problema si sta rivelando ben più esteso delle stime iniziali e – dicono gli esperti – se si inizia a vedere la curva discendente per i bambini, per gli adulti il virus continua a galoppare. Il bilancio è di oltre quattro milioni di italiani finora ammalati, almeno 140 casi gravissimi e 30 morti.

Fin qui le conseguenze dirette, senza contare le “complicanze” possibili, per se stessi e la collettività. Ma a causa dell’influenza sta emergendo anche un serio problema di carenza di sangue nelle strutture ospedaliere. Il donatore abituale, giustamente, si astiene dal donare mentre sta male, con ricadute perfino sulla possibilità di effettuare gli interventi chirurgici. In particolare, segnala lo stesso Iss tramite il Centro Nazionale Sangue in un appello alle associazioni attive nel settore, il problema si riscontra soprattutto nel Lazio, Puglia, Campania e Toscana, e a questo si aggiunge “l’indisponibilità delle Regioni solitamente eccedentarie a compensare e addirittura la carenza presso le Regioni Lombardia e Piemonte”.

Si è innescata di fatto una “reazione a catena, lasciando sguarniti i territori che chiedevano aiuto”, incalza su Avvenire il presidente dell’Avis Alberto Argentoni, rilevando comunque l’avvenuta attivazione, almeno parziale, di una risposta popolare alle richieste di donazione. “L’emergenza”, insomma, rientrerà. Attenzione, però, perché il problema non si esaurisce in queste fasi critiche che, in modo più o meno serio, tendono a essere ricorrenti nel mese di gennaio.

Il nodo è che “la cultura della donazione del sangue è cambiata”, nota Argentoni, spiegando che “i giovani donano, ma poche volte l’anno, al massimo due a fronte delle quattro consentite”. Insomma emerge un problema dalle nuove generazioni, tant’è che la stessa Avis ha avviato una propria strutturazione giovanile. I dati ufficiali lo confermano da un po’: dopo anni di crescita, il 2016 ha segnato un calo dei donatori, e questo riguarda soprattutto i giovani. Si assiste quindi - documenta il ministero - a “un progressivo invecchiamento dei donatori”.

È dunque tempo di rilanciare l’attenzione pubblica sull’importanza della donazione, già dai 18 anni (a fino ai 65). Del resto i dati regionali confermano alcune tendenze, ma anche la possibilità concreta di correggerle. Se le statistiche pro-capite sui donatori collocano in vetta una regione tradizionalmente ben strutturata dal punto di vista sanitario come il Friuli-Venezia Giulia, quelle sui “nuovi donatori” vedono ora al vertice la Campania. Servono campagne di sensibilizzazione e buone organizzazioni, ma serve anche qualcos’altro a tutela dei donatori: “L’Inps ci dice che solo il 20% dei lavoratori usufruisce dei permessi dedicati” alla donazione - la denuncia del presidente dell’Avis.

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