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Ci sono oramai conferme scientifiche solide su quanto i sovraccarichi di stress, di ansia, di fatica e di sedentarietà legata al fatto di stare troppo inchiodati dinanzi allo schermo di lavoro siano deleteri.

Lo sa bene, con qualche stupore, chi si è cimentato in qualche colloquio di lavoro in ambito internazionale. Capita spesso la domanda: “Se arriva un’emergenza a fine giornata, che fai”? Ambendo a quel lavoro si sarebbe portati a rispondere: “Resto io, se necessario tutta la notte, finché non risolvo il problema”. Non fatelo, perché quella risposta sarebbe valutata malissimo dagli stessi selezionatori. Un’adeguata “work-family balance” è ritenuta un imperativo dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dall’Unione Europea, dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e da qualsiasi statista e datore di lavoro sensato. Gli eccessi lavorativi finiscono nel tempo col compromettere la produttività e la salute, ingenerando per giunta costi ulteriori, individuali e collettivi, per la terapia resa poi necessaria.

“Pensavamo che la tecnologia avrebbe facilitato il nostro tempo libero”, osserva Peter Fleming, professore di “Business and Society” all’Università di Londra, notando invece che “mentre nel 2002 meno del 10% degli impiegati controllava le email di lavoro fuori dall’ufficio, oggi, con la complicità di tablet e smartphone, si è arrivati addirittura al 50%, spesso perfino prima di coricarsi a letto”.

Non va affatto bene, e ci sono oramai conferme scientifiche solide su quanto i sovraccarichi di stress, di ansia, di fatica e di sedentarietà legata al fatto di stare troppo inchiodati dinanzi allo schermo di lavoro siano deleteri. Una ricerca americana su 8mila impiegati di circa 45 anni ha rilevato che quelli che lavoravano oltre le 13 ore al giorno aveva una probabilità raddoppiata di incorrere in morte prematura rispetto ai colleghi che lavorano un paio d’ore in meno.

Un’altra ricerca, svolta a Londra su 85mila lavoratori, sempre di mezza età, ha identificato una correlazione tra orari lavorativi eccessivi e rischi cardiovascolari di varia natura. Per quel che riguarda l’ictus, ad esempio, è emersa un’esposizione addirittura quintuplicata.

Lavorare troppo insomma fa male, e oltretutto, all’evidenza, non serve. Recenti indagini internazionali – una anche dell’Ocse – hanno stilato classifiche, tra i Paesi avanzati, sul miglior equilibrio “lavoro-riposo”. Il dato che balza agli occhi è che quelli in cui si riposa di più sono anche tra i più ricchi, come l’Olanda o la Danimarca, mentre sulla sponda opposta figurano Stati come la Turchia, dove il tenore di vita medio è nettamente inferiore. L’Italia si trova in una posizione intermedia. Qual è il “giusto tempo di lavoro”? Secondo uno scienziato americano Alex Soojung-Kim Pang, è di quattro ore al giorno. Oltre quel tetto, sostiene, c’è solo insalubre fatica e inutile stress.

 

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