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Esistono finalmente “ospedali a misura di donna”, almeno un po’ attrezzati alle esigenze specifiche di cura dell’universo femminile, e tuttavia “molti non si fanno ancora valutare”.

Esistono finalmente “ospedali a misura di donna”, almeno un po’ attrezzati alle esigenze specifiche di cura dell’universo femminile, e tuttavia “molti non si fanno ancora valutare”. Non è sempre colpa dei giornalisti se, nell’arco degli anni, riscrivono sul tema sostanzialmente lo stesso articolo, a volte perfino con lo stesso titolo: la notizia è purtroppo il perdurare della problematica, nonostante le campagne e le prese di posizioni, anche dai vertici della Sanità italiana.

Il primo dato che salta agli occhi dall’ultimo “censimento” (consultabile on-line) diffuso in questi giorni con un evento al ministero della Salute – a dieci anni dal primo - è infatti la ribadita riluttanza di molte strutture a prestarsi al questionario di circa 300 domande (suddivise in 16 aree specialistiche), sebbene promosso dal riconosciuto Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, e curato da una commissione coordinata dal presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi. Sono state interpellate un migliaio di strutture italiane, tra i circa 1500 ospedali e case di cura convenzionate, ma hanno risposto purtroppo solo in 324.

Il bicchiere, comunque, è anche “mezzo pieno”. Di quelle strutture, ben 306 sono state “promosse” (con prevalenza per le regioni del centro e soprattutto del nord, ma qualche eccellenza anche al sud e nelle isole), mentre all’ultimo sondaggio erano state 242. Morale, ha risposto perlopiù chi aveva qualcosa da dire, ed è una cifra in seppur timida crescita. Tra le strutture premiate, 52 hanno ottenuto una “stella”, 183 ne ha avuto due, altre 71 tre, con “menzione speciale” per tredici ospedali attrezzati di un percorso diagnostico-terapeutico dedicato alle donne anche nel delicato, quanto rilevante, ambito della cardiologia.

I criteri sono infatti quelli della presenza di aree specialistiche dedicate alla popolazione femminile, l’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, ma anche l’offerta di servizi aggiuntivi, dalla telemedicina all’assistenza sociale. Sono insomma i capisaldi della “medicina di genere” che, come qui più volte segnalato, lungi da essere un concetto “ideologico”, muove dall’assunto che i due generi richiedono attenzioni fisiologiche e sociologiche specifiche, dalla diagnosi alla terapia, e perfino nella ricerca farmacologica.

“Non è un fattore politico ma scientifico”, ribadisce la stessa ministra Lorenzin, elencando gli obiettivi: “Il benessere riproduttivo, l’appropriatezza dell’assistenza nel percorso nascita e la promozione della salute della mamma e del suo bambino, l’informazione delle donne relativamente ai rischi collegati al periodo post-fertile come quello osteoporotico e cardiovascolare, oltre a tutte le politiche di prevenzione dei tumori e delle patologie sessualmente trasmissibili”.

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