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L'Happiness Research Institute ha completato un apposito “World Psoriasis Happiness Report 2017”, per rilevare comparativamente il livello di “felicità” tra le persone affette da psoriasi.

Oltre due secoli nella cultura filosofica britannica si affermò la dottrina etica dell’utilitarismo che tra l’altro identifica il bene con il piacere e la felicità per il maggior numero di individui.

Il tema continua a essere oggetto di specifiche analisi a livello mondiale, anche in ambito medico-scientifico. In Danimarca (con collaborazioni internazionali) è stato creato un “Happiness Research Institute”, che adesso ha completato un apposito “World Psoriasis Happiness Report 2017”, per rilevare comparativamente il livello di “felicità” tra le persone affette da questa patologia.

L’indagine ha coinvolto anche l’Italia, che risulta purtroppo agli ultimi posti in classifica: 16esima sui 19 Paesi avanzati considerati. I pazienti italiani sarebbero mediamente “più stressati tristi degli altri”. L’aspetto interessante della classifica sta nelle variabili che l’hanno determinata, perché su alcuni aspetti la graduatoria in realtà si rovescia: nel nostro Paese a pesare negativamente è soprattutto il livello di assistenza nel suo insieme.

I sintomi più tipici, quali la comparsa di arrossamenti, chiazze e desquamazioni potrebbero suggerire la presenza di un “fattore culturale” legato all’enfasi sull’“estetica” nel nostro Paese, e alle percezioni correlate di un possibile stigma in proposito. Ad esempio, al pari degli altri Paesi, l’incidenza delle desquamazioni sul grado di felicità è inferiore a quello procurato dalla comparsa di problematiche articolari.

Più eloquente ancora, la sensazione di “solitudine” sociale legata alla patologia non è maggiore nel nostro Paese, ma anzi inferiore: coinvolge il 28% dei malati di psoriasi, mentre nel Regno Unito, ad esempio, si arriva al 48%. Analogamente, la maggioranza dei pazienti italiani valuta positivamente il livello di competenza e comprensione sulla loro condizione nel medico curante. Insomma, l’indagine sembra confermare la permanenza in Italia di una rete sociale di sostegno, che include il medico di base.

Cos’è che allora non va nella percezione degli italiani, tanto da collocarli agli ultimi posti negli indici complessivi di “felicità”? Il difetto più vistoso sta nella sfiducia nell’aiuto fornito dal Servizio Sanitario Nazionale. La media globale è intorno alla metà dei pazienti, in Italia si sale a due terzi. E’ solo un questionario e, benché esteso, non esaurisce certo l’esame della problematica, ma il contrasto emerso tra il sostegno “di prossimità” ricevuto e quello scarsamente percepito dal sistema-sanità nel suo complesso è un’indicazione che converge con altri studi analoghi.

Una curiosità a margine: sul sito dell’Istituto danese c’è una sezione che pone il quesito: “Come posso diventare più felice?”. La risposta sembra disarmante: “Purtroppo non abbiamo nessun consiglio, suggeriamo alle persone di chiedere aiuto personale ai professionisti della salute”. In realtà è la risposta esatta, ed è quella che ogni serio portale di informazione sanitaria dovrebbe fornire. Giornali e web possono e devono informare, ma le risposte e le terapie vanno cercate solo di concerto con il proprio medico.

 

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