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Da tempo c’è un gran parlare di “territorializzazione della Sanità”, per liberare la cura dalle mura ospedaliere – al di fuori naturalmente dei casi più gravi – e avvicinarla ai cittadini.

Da tempo c’è un gran parlare di “territorializzazione della Sanità”, per liberare la cura dalle mura ospedaliere – al di fuori naturalmente dei casi più gravi – e avvicinarla ai cittadini. La principale rete associativa nazionale, Cittadinanzattiva, ha allora cercato di fare il punto, in collaborazione con altre associazioni di pazienti, di professionisti sanitari, nonché enti territoriali e sindacati. Tracciando un quadro globalmente modesto, tra palesi lacune e gravi differenze regionali, con l’esito ultimo che sono i cittadini, infine, a pagarsi privatamente una buona parte dell’assistenza, del resto solo quando possono permettersela.

Tra le carenze, c’è la “cronicità” della lentezza e dei ritardi. Più di un cittadino su dieci attende oltre un mese per ricevere farmaci indispensabili, uno su quattro aspetta il medesimo lasso di tempo per un materasso o un cuscino antidecubito giudicati indispensabili, uno su tre per una carrozzina. Un paziente su sette poi incontra criticità nell’attivazione del servizio di infermieristica o fisioterapia, anche dopo la sua formale assegnazione. Quando il servizio è fornito i pazienti si dichiarano largamente soddisfatti  per la qualità e la sensibilità degli operatori, salvo il problema, lamentato da quasi la metà dei cittadini, che tali operatori non sono quasi mai gli stessi, ruotano troppo spesso. Questione di burocrazie ancora poco accessibili. E di organizzazione.

I problemi emergono già nella semantica: gli appellativi cambiano anche solo sconfinando da una Regione all’altra. Su base nazionale ci sono le “Aggregazioni Funzionali Territoriali” (Aft), che però localmente si declinano in modalità variabile nelle cosiddette “Unità Complesse di Cure Primarie”. Queste si chiamano “Case della Salute” in Emilia Romagna, si sale oltre la “frontiera” del Veneto diventano “Medicine di Gruppo Integrate”. E nella confusione finisce che in una Regione su tre il previsto coordinamento tra Aft e Unità complesse non è stato neanche attivato.

A proposito di sperequazioni territoriali, emerge poi che i Centri diurni per la salute mentale sono 3 nel Molise, mentre sono 69 in Toscana, quelli per l’Alzheimer sono 4 in Campania e 109 in Veneto. Si dovrebbe allora quantomeno seguire il criterio adottato per gli ospedali: bisogna stabilire “standard qualitativi, strutturali, tecnologici a garanzia di tutti i cittadini in tutte le aree del Paese. Abbiamo bisogno di poter trovare nel territorio un punto di riferimento affidabile e presente sempre”, incalza il Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva Tonino Aceti.

Tra disservizi e differenze regionali finisce che i costi vengano poi scaricati sui cittadini. Costretti a pagare di tasca propria l’assistenza essenziale in un caso su due, e in uno su dieci a spendere oltre mille euro al mese, tra badante, fisioterapista, materiale sanitario e farmaci. Un onere che potrebbe essere alleviato anche attraverso il ricorso ai farmaci generici, come  ricorda “IoEquivalgo”, la campagna attivata sempre da Cittadinanzativa per sensibilizzare al loro uso e contenere almeno in parte il fenomeno dell’abbandono delle cure legato al costo elevato dei medicinali. 

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