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Gli italiani rimangono ai vertici mondiali per longevità ma in condizioni peggiori degli altri Paesi avanzati. Più dell’11% dei connazionali oltre i 65 anni dichiara ad esempio difficoltà fisiche tali da non riuscire a svolgere autonomamente le attività più elementari, come mangiare o alzarsi dal letto.

“Chi governa, deve darsi una mossa, il disavanzo in termini di qualità della vita si sta facendo insopportabile”, incalzava nelle scorse settimane Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, quasi a prefigurare le difficoltà odierne nella costruzione di responsabilità governative in un contesto oggettivamente critico, anche nella salute. Il tema era l’ultimo rapporto annuale dell’Osservatorio Nazionale sulla Sanità nelle Regioni, che ha fotografato un quadro poco accettabile sulle sperequazioni nel servizio sanitario, tali da mettere a repentaglio il diritto costituzionale e universale all’assistenza, oltre che la celebrata tradizione della “migliore sanità al mondo”.

Il primo dato è che gli italiani rimangono ai vertici mondiali per longevità ma in condizioni peggiori degli altri Paesi avanzati. Più dell’11% dei connazionali oltre i 65 anni dichiara ad esempio difficoltà fisiche tali da non riuscire a svolgere autonomamente le attività più elementari, come mangiare o alzarsi dal letto. La media europea è invece inferiore al 9%, in Danimarca si scende al 3. E’ un segnale grave, perché già oggi tale fascia rappresenta un quinto della popolazione, e nei prossimi decenni, per la naturale evoluzione della piramide dell’età, salirà ulteriormente e di parecchio.

E sono in tanti a lamentare un’assistenza inadeguata mentre, per una volta, si notano miglioramenti sul piano dei comportamenti personali. Scende, e di molto, la proporzione che usa o abusa di alcol, e sale, seppur timidamente, quella che svolge qualche attività sportiva, circa un terzo della popolazione. E migliora anche la qualità della medicina, come documentano i dati sulla speranza di vita crescente delle persone affette da un tumore o da gravi malattie croniche.

Insomma, la scienza fa i suoi passi, e anche i singoli migliorano un po’ i loro stili di vita, eppure il sistema sanitario lamenta serie difficoltà, e questo emerge in particolare sul piano delle sperequazioni regionali. Lo documentano i dati sulla mortalità stessa dei malati, in rapido calo al nord, e non al sud, così come quelli sulla mortalità precoce. Tendenze che procedono in parallelo a quelle sulla prevenzione diagnostica: se nel Trentino, ad esempio, gli esami per il tumore del colon raggiungono il 72% dei cittadini, in Puglia si scende al 13%. “E' evidente il fallimento del Servizio Sanitario Nazionale nella sua ultima versione federalista, nel ridurre le differenze di spesa e della performance fra le regioni italiane”, commenta senza giri di parole Ricciardi.

E c’è un parallelo ulteriore. Le regioni meridionali, con qualche eccezione, sono anche quelle che ricorrono meno ai farmaci generici, forieri di risparmio pubblico e privato a parità di efficacia e sicurezza terapeutica. Segno che la discrepanza non è solo nelle risorse, ma anche nella qualità del loro impiego. A tal proposito emerge l’esigenza di preservare quantomeno un ruolo scientifico e decisorio centralizzato e uniforme in materia di validazione dei medicinali, incluso l’ambito degli equivalenti. “Riteniamo che la centralità dell’Agenzia del Farmaco in questo campo vada in tutti i modi salvaguardata”, incalza il presidente di Assogenerici Enrique Häusermann. Nel nome della sicurezza, e di quell’orizzonte, seppur fragile, di una Sanità a disposizione di tutti.

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