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L’Italia è capitale continentale dei trapianti e delle donazioni d’organo, ed è un primato che, come ha documentato nei giorni scorsi in una tavola rotonda il Centro Nazionale Trapianti (Cnt), si è ribadito e consolidato anche quest’anno.

Poi ci stanno i problemi, certo, nella Sanità come altrove. Ma è bene anche ricordarci ogni tanto che c’è un fondo di competenza e di umanità nel nostro paese che, senza “retoriche festive”, è una base preziosa di sopravvivenza e di rilancio. L’Italia è capitale continentale dei trapianti e delle donazioni d’organo, ed è un primato che, come ha documentato nei giorni scorsi in una tavola rotonda il Centro Nazionale Trapianti (Cnt), si è ribadito e consolidato anche quest’anno. Sapendo al contempo che si può fare di più a ogni livello.

Nel dettaglio, i trapianti eseguiti nel 2016 – secondo la proiezione effettuata in ottobre – sono stati 3.268 (1.700 di rene, 1.189 di fegato, 252 di cuore, 137 di polmone, per citare i più diffusi), mentre erano stati tremila nell’anno precedente, e il totale dei donatori è stato 1.260, un centinaio in più rispetto al 2015. Le segnalazioni sono raccolte dalle Regioni, e condivise a livello nazionale al Cnt, che da tre anni si dice operativo nell’arco delle 24 ore.

Il dato di fondo è che il trapianto è la miglior cura per l’insufficienza terminale d’organo. “Rispetto alle terapie alternative e al supporto artificiale, non solo rappresenta un vero e proprio salvavita, ma determina anche una migliore sopravvivenza successiva del paziente”, spiega il Direttore del Dipartimento Niguarda Transplant Center Andrea De Gasperi. In effetti, le percentuali di sopravvivenza e di ritorno a una vita normale a un anno dall’intervento sfiorano il 90%, e lambiscono addirittura il 100% per quanto riguarda il rene.

Poi c’è il “di più” che si potrebbe ottenere. A leggere i dati ufficiali gli italiani che hanno espresso il loro consenso alla donazione di organi sono quasi 1,9 milioni, e le indagini effettuate su chi ha già donato organi rivela che quasi tutti poi lo rifarebbero. Eppure, incalza Giuseppe Vanacore, presidente dell’Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto, “i livelli di opposizione sono ancora troppo elevati, intorno al 30-32%, sicché c’è ancora un gap culturale da colmare”.

“La colpa”, comunque, non è dei cittadini. “La gamba più forte è quella sociale mentre quella sanitaria appare ancora debole”, ha ammesso il Coordinatore regionale trapianti della Lombardia Giseppe Piccolo. E qui subentrano i nodi organizzativi, l’esigenza di una miglior comunicazione tra domanda e offerta, ma soprattutto una parola chiave, la “perfusione”. Il nodo è che il donatore medio è ultrasessantenne, magari con problemi di sovrappeso, vascolari o cerebrali. Ebbene, da qualche decennio, e in modo sempre più sofisticato, i macchinari della detta perfusione consentono di “ringiovanire” gli organi, rigenerandoli a livello circolatorio quanto nell’ossigenazione dei tessuti. Insomma, è da sapere per bene: la disponibilità a donare i propri organi può essere davvero salvifica, e questo vale anche quando lo si fa da anziani.

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