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Una ricerca del Massachusetts General Hospital di Boston in collaborazione con l’Icahn School of Medicine di New York, pubblicata sulla popolare rivista scientifica Lancet, ha infatti accertato i meccanismi di uno stretto legame tra l’iperattività di un’area cerebrale sensibile allo stress e l’esposizione ai rischi cardiovascolari.

“Niente paura”. Lo canta Ligabue, ma adesso è anche un rilevante consiglio medico. Una ricerca del Massachusetts General Hospital di Boston in collaborazione con l’Icahn School of Medicine di New York, pubblicata sulla popolare rivista scientifica Lancet, ha infatti accertato i meccanismi di uno stretto legame tra l’iperattività di un’area cerebrale sensibile allo stress e l’esposizione ai rischi cardiovascolari.

Che il legame sussista non è propriamente una novità, ma gli scienziati statunitensi rivendicano di averne finalmente scovato le ragioni, aprendo così la strada a rimedi più appropriati. Per quattro anni hanno “fotografato” il cervello di 293 persone, seguendone le evoluzioni nelle situazioni di stress e osservando al contempo lo stato della milza e del midollo osseo. E qui è emersa la corrispondenza: l’iperattività di una specifica regione cerebrale era accompagnata da un analogo comportamento degli altri organi citati.

La conseguenza è dunque l’innesco di una sovrapproduzione di cellule immunitarie (globuli bianchi) e processi infiammatori a danno delle pareti delle arterie con conseguente aumento del rischio di formazione di placche arteriosclerotiche, e quindi di rischi cardiovascolari, inclusi l’ictus e l’infarto. Per verificare e dettagliare tali esiti l’esperimento è stato poi ripetuto su tredici soggetti con disturbi da stress post-traumatico, traendone piena conferma

La regione cerebrale coinvolta si chiama “amigdala”, proprio come l’antichissimo arnese di pietra fabbricato già dall’homo erectus, in quanto richiama vagamente la forma di una “mandorla”, da cui eredita l’etimo greco. Linguistica a parte, si tratta di un gruppo di strutture interconnesse che gestisce le emozioni, e in particolare la Linguistica a parte, si tratta di un gruppo di strutture interconnesse che gestisce le emozioni, e in particolare la paura. Cruciale tanto nell’elaborazione e nell’apprendimento emotivo quanto nella memoria, è lei a emettere salvifici segnali nelle situazioni di pericolo, ma anche a conservare i segni che vorremmo dimenticare derivanti dalle sofferenze pregresse. 

Lo studio statunitense ha individuato anche effetti concreti dello stress sull’incidenza degli eventi cardiovascolari. Per questo i ricercatori suggeriscono di trattare lo stress, e soprattutto le situazioni post-traumatiche, alla stregua di altri fattori di rischio per il cuore, quali l’alta pressione o il fumo, nell’ambito della prevenzione. E intravedono un’altra frontiera: la possibilità futura – peraltro tutta da sperimentare - di curare farmacologicamente altre patologie gravi - dalle infiammatorie fino a quelle tumorali - agendo anche sui livelli di stress.

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