MENU
La “magia” dello zafferano sembra però non limitarsi al colore (e al profumo), coinvolgendo altresì virtù terapeutiche, perfino dinanzi a una patologia estesa quanto per certi versi ancora misteriosa, ossia la più diffusa delle forme di demenza.

La pianta è violacea, la spezia estratta è rosso fuoco, e dopo il passaggio in pentola si trasforma in quell’inconfondibile giallastro che tinge il nostro risotto alla milanese e migliaia di ricette asiatiche. La “magia” dello zafferano sembra però non limitarsi al colore (e al profumo), coinvolgendo altresì virtù terapeutiche, perfino dinanzi a una patologia estesa quanto per certi versi ancora misteriosa, ossia la più diffusa delle forme di demenza.

Non è una novità assoluta che lo zafferano abbia potenziali benefici verso l’Alzheimer, alcuni studi, soprattutto statunitensi, lo hanno già ipotizzato negli ultimi anni  e in Iran, il suo principale produttore mondiale, li si rivendica da  sempre nelle tradizioni locali.

L’ultima conferma scientifica arriva però dal nostro Paese, e appare anche tra le più convincenti e specifiche. La si legge sul Journal of the Neurological Sciences, in uno studio a firma del Laboratorio di Neurogenetica del Centro Europeo di Ricerca sul Cervello (Cerc) dell’Irccs Santa Lucia di Roma, che ha avuto come presupposto proprio nelle conoscenze acquisite sull’“enorme potenziale neuro-protettivo” della spezia. “Lo zafferano contiene potenti antiossidanti e molecole bioattive, quali crocine e crocetine”, spiega infatti il  direttore del Cerc, Antonio Orlacchio. Da qui la sperimentazione, effettuata dapprima in vitro sulle cellule immunitarie di 22 pazienti con un declino cognitivo ancora lieve, e poi su alcuni roditori anziani, facendo leva, in particolare, sulla “trans-crocetina”, uno dei componenti attivi dello zafferano.

È così emersa la sua capacità di attivare un enzima di degradazione cellulare, chiamato catepsina B, che aggredisce la proteina tossica beta-amiloide, il cui accumulo è il principale indiziato della morte delle cellule nervose, e quindi dell’offuscamento cerebrale del malato di Alzheimer. “Il tutto senza che a livello cellulare sia emersa alcuna forma di tossicità”, nota soddisfatto Orlacchio.

Niente effetti avversi ed elevati potenziali terapeutici, dunque. L’orizzonte di un farmaco anti-Alzheimer ricavato dallo zafferano sembra concreto e abbastanza vicino. Serviranno ulteriori approfondimenti, e naturalmente il passaggio sperimentale in vivo sui pazienti. Secondo il direttore del Cerc, il potenziale sarebbe alto soprattutto per quelli affetti dalla forma non ereditaria della patologia, che è la più diffusa.

 

Articoli Correlati

x