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Le ragioni del loro espatrio costituiscono una denuncia circa la necessità di tutelare una professione vitale per la nostra assistenza sanitaria.

È un articolo di Repubblica l’ultimo a lanciare l'allarme tramite una storia curiosa. Quella di oltre cento giovani emigrati italiani a Preston, cittadina nel nord-ovest dell'Inghilterra, sopra Manchester e Liverpool. Che ci fanno lassù, nella remota contea del Lancashire? Gli infermieri. Ebbene, le ragioni del loro espatrio costituiscono una denuncia circa la necessità di tutelare una professione vitale per la nostra assistenza sanitaria, anziché di umiliarla, il che ha la conseguenza ulteriore di allontanare i nostri talenti.

L’espatrio fino a una settantina d’anni fa era una necessità. Poi è divenuto perlopiù una scelta. Da pochi anni è ridiventato una necessità. Ai vertici delle classifiche degli emigranti italiani, tra i vari professionisti, ci sono da tempo i medici, al punto che Bruxelles ha recentemente documentato che oltre la metà dei laureati europei in medicina che lasciano il proprio paese è costituita da italiani.

Per gli infermieri l’accelerazione è ancora più vistosa. Dal 2012 hanno addirittura superato gli insegnanti tra le categorie di emigranti. Poi, negli ultimi tre anni, nota la Federazione Nazionale Collegi Infermieri (Ipasvi), l’espatrio ha conosciuto un’accelerazione del 70%. Solo rimanendo all’Inghilterra (tantissimi se ne vanno altrove, a iniziare da Germania e Svizzera), sono globalmente almeno 2500 i professionisti connazionali trasferitisi.

Perché se ne vanno? C’è una ragione legata alla crisi, che peraltro ha coinvolto anche il Regno Unito, salvo che da noi ha condotto dal 2008 a un blocco quasi totale delle assunzioni. Nel 2009 il 90% dei laureati trovava lavoro entro l’anno, proporzione crollata al 25% cinque anni dopo. L’esito è che ci sono 25mila neolaureati disoccupati mentre, documenta ancora l’Ocse, mancano nel nostro paese 60mila infermieri. Servirebbero come il pane – tant’è che nel precariato aumentano i lavoratori stranieri, rumeni in primis – ma non trovano spazio stabile. E se lo trovano, il compenso è irrisorio, lontanissimo dai duemila euro di salario d’ingresso in Inghilterra (che poi aumenta per merito fino a quadruplicarsi). “Sì, ma lassù la vita costa di più”, si dice. Vero, per Londra, dove peraltro è previsto un aumento del 20% proprio per il carovita. Ma non per un posto come Preston.

Non è solo questione di denari, ma di rispetto professionale. C’è un percorso di formazione, “ dopo sei mesi di affiancamento gli infermieri sono regolarmente assunti con un contratto a tempo indeterminato”, nota il presidente dell’Ipasvi Luigino Schiavon. Poi ci sono le testimonianze personali. “Sono venuti a prenderci in taxi da Manchester”, dicono gli emigranti di Preston. E ai fatti, racconta anche la Bbc, risultano bravissimi. Sarebbero importanti perfino in Italia.

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