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I ricercatori dell’Università del Queensland hanno analizzato i dati di 2300 mamme, tutte lavoratrici prima dell’arrivo dei figli. La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Pediatrics, ha fatto emergere chiare differenze sull’esito del successivo allattamento, in funzione della durata del loro impegno lavorativo.

Dall’universo magico della maternità compaiono periodicamente sui media e sul web le immagini struggenti di donne che allattano i loro neonati nelle condizioni più difficili. Dai campi profughi ai barconi dei “viaggi della speranza”, dai luoghi di lavoro alle aule europarlamentari. Le donne sanno come si fa a proteggere quella fase essenziale dell’esistenza. Dall’Australia arriva un’indagine che fissa alcuni paletti sulla tempistica necessaria.

I ricercatori dell’Università del Queensland hanno analizzato i dati di 2300 mamme, tutte lavoratrici prima dell’arrivo dei figli. La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Pediatrics, ha fatto emergere chiare differenze sull’esito del successivo allattamento, in funzione della durata del loro impegno lavorativo.

È emerso che circa il 60% delle madri che lavorano sotto le 20 ore alla settimana allattano ancora allo scadere dei sei mesi di vita del bambino. Non ci sono differenze significative tra chi ne lavora 19 o 10, la differenza è a livelli superiori. La proporzione scende al 47% per quelle che lavorano da 20 a 34, al 39% per quelle che lavorano 35 o più. Il segnale evidente, e delicato, è questo: sembra che sia l’esigenza professionale della donna a stabilire la durata dell’allattamento, più di quella dei figli.

Quei parametri non sono scelti a caso. La raccomandazione dei pediatri è proprio quella di un allattamento protratto per almeno sei mesi, che riduce, tra gli altri, il rischio di infezioni all’apparato respiratorio e alle orecchie, le allergie, il diabete. Questo riguarda il bebè, ma riguarda anche la madre, dato che periodi lunghi di allattamento sono associati a riduzioni di rischi di depressione, di deterioramento osseo e di alcune forme tumorali.

Tanti si mobilitano sul tema, dalle strutture consultoriali alle reti volontarie quali “La Leche League” (Lega per l’Allattamento Materno), una rete fondata nel 1956 in 72 paesi al mondo, e dotata di migliaia di consulenti volontari (in Italia sono oltre cento, dal 1979), per sensibilizzare e assistere le madri sul dono prezioso dell’allattamento. Il tema può essere declinato in tanti modi, dalla medicina alla sociologia ai diritti. Lo svolgimento, però, richiede che quella funzione essenziale venga protetta. Qualunque cosa avvenga attorno, la madre può e deve conservare il tempo e l’attenzione totale, nel corpo e nell’anima, per l’allattamento. È essenziale alla salute del nascituro, di lei stessa e del mondo.

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