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Anche nel contesto dell’ultimo otto marzo ricordammo come la “medicina di genere” non sia più un’istanza ideologica ma un’esigenza accertata dalla scienza e oramai riconosciuta dagli stessi decisori, richiedendo un’attenzione specifica alle peculiari esigenze biologiche femminili, mentre la terapia, sin dalla ricerca sperimentale, è ancora largamente effettuata al maschile.

Anche nel contesto dell’ultimo otto marzo ricordammo come la “medicina di genere” non sia più un’istanza ideologica ma un’esigenza accertata dalla scienza e oramai riconosciuta dagli stessi decisori, richiedendo un’attenzione specifica alle peculiari esigenze biologiche femminili, mentre la terapia, sin dalla ricerca sperimentale, è ancora largamente effettuata al maschile. A tutto questo si aggiunge un dato ulteriore, ossia che ci sono diverse malattie che tendono selettivamente a colpire in modo grave perlopiù le donne stesse.

Ebbene, l’elenco di tali patologie ora si allunga, includendo il diabete di tipo 2. Lo ha ricordato la stessa Società Italiana di Diabetologia (Sid), a recente Congresso a Riccione, invocando un salto nell’attenzione terapeutica per l’universo femminile, del resto in linea con l’International Diabetes Federation che ha deciso di dedicare la sua prossima “Giornata” (a novembre) proprio alle diabetiche.

La differenza non sta nell’incidenza della patologia, sostanzialmente alla pari tra i sessi, ma sulle sue conseguenze. “Quasi tutti i rischi legati alla malattia nelle donne sono più alti del 30 per cento o anche raddoppiati”, fa sapere Giorgio Sesti, presidente della Sid, in riferimento, tra l’altro, alle malattie cardiovascolari. Per l’ictus, ad esempio, è stato documentato che il rischio sale del 27% tra le diabetiche rispetto ai pazienti maschi. E per gli infarti si arriva al triplo.

Ad aggravare il quadro c’è il fatto che si tratta di una differenza “non percepita dai medici né tanto meno dalle pazienti”. “Poche mammografie e pap-test, sebbene la malattia esponga ad un rischio doppio di tumori”, nota ad esempio il presidente della Fondazione Diabete Ricerca Enzo Bonora. “Le donne spesso non riconoscono i sintomi dell'infarto, che in loro sono diversi – spiega Giovannella Baggio, docente di Medicina di genere all'Università di Padova - hanno meno dolore e invece provano magari forte ansia e mancanza di respiro”, esponendosi così a maggiori rischi di morte.

Questo tuttavia non significa che si curino di meno degli uomini. I dati e le tendenze discusse al Congresso, tra consumi farmacologici e aderenza terapeutica, non sembrano affatto dimostrare tale discrepanza. Il problema, evidentemente, è anzitutto altrove. Gli stessi medicinali non raggiungono per le donne gli stessi obiettivi, nella fattispecie su emoglobina glicata e glicemia. “Sono fatte diversamente”, sul piano ormonale e molto altro. Ed è tempo di tenerne davvero conto.

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