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L’Università di Cambridge, con uno studio sperimentale pubblicato sulla rivista Neuron, ha analizzato i meccanismi di “manutenzione della memoria” nella fase più profonda del sonno

“Ma perché dormiamo?”. Può suonare una domanda banale, eppure ha interrogato illustri specialisti di varie discipline, dall’etologia alla psichiatria, dai filosofi agli studiosi delle malattie neurodegenerative. Senza trovare ancora adeguata risposta. Konrad Lorenz, ad esempio, ipotizzava che fosse un retaggio antico, legato alla paura di essere divorati dagli animali predatori, sicché il riposo ci avrebbe protetto con l’arma di renderci immobili. Gli specialisti odierni della materia infine allargano le braccia. “Per quanto ne so io, vi è un solo motivo sicuro per il nostro bisogno di dormire: ci viene sonno”, ha sintetizzato William Dement.

Qualche passo, comunque, la scienza l’ho ha fatto, anche in questi giorni, non proprio sulla “causa prima” del sonno ma almeno sulla sua “funzione”. L’Università di Cambridge, con uno studio sperimentale pubblicato sulla rivista Neuron, ha analizzato i meccanismi di “manutenzione della memoria” nella fase più profonda del sonno, quella a onde lente, e lo ha fatto stimolando le connessioni neurali dei topi sottoposti a un’anestesia finalizzata a uno stato cerebrale simile a tale stadio del riposo umano.

 Sul tema esistono diverse teorie, una delle quali sostiene che il sonno produca un potenziamento di tutte le connessioni neurali. Gli studiosi inglesi hanno scoperto qualcosa di analogo, ma in realtà di ben più sofisticato. Si attiva cioè un processo di selezione, orientata a “cementare” le connessioni più forti e allo stesso tempo rinunciando a quelle più piccole. È un meccanismo estremamente interessante, perché dimostra come il nostro cervello, messo a riposo, inneschi naturalmente delle procedure di “gerarchizzazione”. Dinanzi ai mille stimoli ricevuti, sceglie l’essenziale, quel che è più importante, e lo valorizza, anche cestinando le cose percepite come meno importanti: quel che è sciocco o inutile viene sacrificato per corroborare quel che conta.

 Gli esiti non rappresentano una novità assoluta, e anzi sostanzialmente ricalcano i risultati, pubblicati nei mesi scorsi, di uno studio condotto da ricercatori italiani, tra gli Stati Uniti e l’Università delle Marche, sempre sui roditori. Indagando sulle connessioni neurali, hanno ricostruito ben settemila sinapsi, realizzando così il più grande database al mondo in materia. Con indicazioni analoghe. Quelle più importanti si consolidano, le altre si riducono. Il riposo, in altre parole, ci permette di “dimenticare” gli stimoli, raccolti qua e là, anche inconsciamente, durante la giornata, che si rivelano inutili, valorizzando gli altri.

 Insomma, qualunque sia l’origine e la motivazione prima della sussistenza del riposo, la realtà è che esso è concretamente funzionale alle nostre facoltà cognitive. Poi ci sono i disturbi del sonno, nessuno sceglie di “dormire male”. Però i frenetici ritmi contemporanei ci inducono sovente a derubricare intellettualmente il riposo a una sorta di “lusso”, un inutile impiccio che riduce i tempi della nostra attività quotidiana. Fondamentale allora uscire dall’equivoco: quel riposo è viceversa un prezioso e intelligente alleato del nostro cervello, con tutto quel che consegue, per la nostra salute, e anche produttività.

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