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Il termine medico è “Internet Addiction Disorder”, che genera effetti a catena dal piano emotivo a quello interpersonale, oltre che impennare i rischi di sedentarietà. Crolla “l’empatia”, sale la “dipendenza” da, in particolare, le interazioni sui social network.

Da questi spazi abbiamo già lanciato l’allarme sul problema sociale, e anche sanitario, di un fenomeno che oramai è oggetto dell’attenzione allarmata degli scienziati e di terapie specifiche, anche negli ospedali italiani. Il termine medico è “Internet Addiction Disorder”, che genera effetti a catena dal piano emotivo a quello interpersonale, oltre che impennare i rischi di sedentarietà. Crolla “l’empatia”, sale la “dipendenza” da, in particolare, le interazioni sui social network. Negli ultimi anni quei rischi si sono impennati per la proliferazione di un’ulteriore tecnologia, quella degli smartphone, sicché il tema ora incombe potenzialmente su ogni attimo della nostra esistenza.

La problematica è stato approfondita in questi giorni dall’Università di San Francisco, con uno studio, pubblicato sulla rivista NeuroRegulation, che evidenzia analogie con l’uso di oppiacei. “La dipendenza dall'uso di smartphone inizia a formare connessioni neurologiche nel cervello in modo simile a quelle che si sviluppano in coloro acquisiscono una dipendenza da farmaci oppioidi per alleviare il dolore”, spiegano gli studiosi.

Hanno reclutato 135 studenti, rilevando che quelli che utilizzavano diffusamente i telefoni – anche mentre mangiavano o studiavano - palesavano maggiori sintomi di depressione e ansia, oltre che solitudine. Le ragioni sono in parte facilmente intuibili, nella propensione stessa a sostituire la relazione sociale a quella virtuale, in apparenza meno “impegnativa”, o anche nel gesto stesso di abbassare la testa e incollare gli occhi sullo schermo, perdendo il contatto con il mondo circostante.

I ricercatori californiani forniscono però una chiave di lettura anche “etologica”. I “push” del telefonino attiverebbero percorsi neuronali analoghe a quelli che anticamente ci avvisavano di un pericolo incombente, come l’attacco di un predatore. Con una differenza non da poco: “Quei meccanismi che una volta ci proteggevano ora ci dirottano verso le informazioni più banali”, spiegano. Ci consegnano, cioè, verso una modesta, sedentaria alienazione.

L’articolo statunitense è interessante anche perché suggerisce anche tecniche per tenersi alla larga da tale insidiosa dipendenza, alcune piuttosto curiose, sperimentate dagli stessi medici. Una studiosa racconta ad esempio che quando si ritrova in un bar con gli amici, mettono tutti i loro telefonini al centro della tavola. Il primo che lo tocca… avrà l’onere di pagare le consumazioni. “Dobbiamo recuperare un po’ di creatività per affrontare le nuove tecnologie in modo da poterle dominare, anziché subirle e farci trascinare fuori dal mondo reale”, spiega.

 

 

 

 

 

 

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