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Dopo diversi flop scientifici, la ricerca sulla demenza annuncia novità di rilievo, anche dall’Italia, nella direzione, decisiva, di una diagnosi precoce. E da uno studio emerge una verità semplice quanto antica: i fattori di rischio sono riconoscibili sin dagli occhi

“Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un’anima”, diceva il compianto scrittore portoghese José Saramago. Che l’occhio sia “specchio dell’anima” è un concetto consolidato nella letteratura. Ma lo è anche per la scienza, che lo riconosce possibile sede di individuazione di vari disturbi, incluse gravi patologie. Di questi giorni l’annuncio dall’University College di Londra, con una pubblicazione su Jama Neurology, dell’esito di una ricerca che dimostra quanto l’osservazione della retina possa contribuire a una diagnosi tempestiva della demenza.

Sono stati coinvolti ben 32mila soggetti di mezza età, tra i 40 e i 69 anni, sottoponendoli sia a un normale “Oct”, un esame semplice e non invasivo per “fotografare” la retina (utilizzato ad esempio per la diagnosi della maculopatia), sia a una serie di test cognitivi di memoria. Gli esami sono stati condotti tre anni fa, e poi ripetuti di recente.

Nella ripetizione è emerso un doppio nesso che appare assai stretto. Gli oftamologi londinesi hanno riscontrato infatti che le persone con uno strato retinico più sottile sono maggiormente esposte non solo a piccoli deficit mentali nell’immediato, ma anche, nell'arco del tempo considerato, a un rilevante aggravamento dei problemi cognitivi, con un aumento di rischio di Alzheimer e altre forme di demenza stimato intorno al 100%.

Il fatto può scatenare, probabilmente a ragione, molte congetture di natura psicoterapeutica sull’importanza di “tenere gli occhi bene aperti”, di continuare a “guardare” il mondo, senza farsi blindare dalle fatiche, dalle paure e dai disturbi dell’età. Ma rinvia anche a un filone farmaco-scientifico cruciale. La ricerca sul declino cognitivo – nonché la lotta a varie patologie come l’Alzheimer – ha registrato negli ultimi anni parecchie delusioni e battute d’arresto. Ma c’è un tassello che rimane essenziale, e sta nella diagnosi precoce, cruciale per poter arginare tempestivamente il declino cognitivo. 

E su questo si annunciano altre novità promettenti, anche in questi giorni, e anche dall’Italia. Lo si legge su Annals of Neurology grazie ad una ricerca coordinata dalla Fondazione-Gemelli-Università Cattolica di Roma, che ha subito ricevuto ampia eco internazionale . Si tratta di una metodica che, tramite un semplice esame del sangue combinato a un elettro-cardiogramma (quindi senza metodi invasivi od onerosi come Pet, risonanza magnetica o puntura lombare), permetterebbe di identificare, tra le persone con lieve declino cognitivo, quelle predisposte a sviluppare la demenza. L’accuratezza riscontrata è del 92%.

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