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La “continuità” nel rapporto col medico generico è un valore in sé. Una ricerca inglese documenta tassi di mortalità mediamente assai inferiori tra chi sceglie di non cambiarlo. Tale scelta è comunque un diritto e va ben ponderata. Cittadinanzattiva, su questo, ha proposto un vademecum di buoni consigli

A volte è una scelta “ereditata”, in altre il ricorso a “quel medico” è un atto di mera abitudine, indipendentemente dalla nostra valutazione, spesso e volentieri abbiamo un rapporto motivato di intima fiducia. In ogni caso prevale una certa “inerzia” dinanzi alla scelta di cambiare il proprio medico di base. Del resto, da una ricerca britannica, dell’Università di Exeter, la più estesa mai realizzata nel suo genere, emergerebbero benefici significativi da tale “resistenza”. 

Riesaminando gli esiti di 22 studi pregressi in proposito, condotti in nove Paesi (con differenze notevoli sul piano dell’organizzazione e dell’assistenza sanitaria), gli studiosi inglesi hanno documentato come la “continuità” abbia una ricaduta reale sulla salute. In quasi tutti i contesti, chi non cambia il medico attingerebbe infatti a rischi di mortalità notevolmente ridotti.

Perché esiste tale nesso? I ricercatori ipotizzano una duplice motivazione. Vi sarebbe anzitutto una dimensione “psicologica” con effetti sull’appropriatezza e aderenza terapeutica. Diminuirebbe cioè lo “stress da visita”, e al contempo si consoliderebbe un rapporto empatico che rafforzerebbe nel tempo la conoscenza e la fiducia tra medico e paziente, migliorando sia la pertinenza diagnostica sia la propensione a seguire correttamente i consigli del professionista.

L’altra ragione è che una buona relazione tra medico di base e paziente condurrebbe anche a una maggiore propensione a farsi seguire con continuità dagli specialisti chiamati in causa dal problema del singolo. Si potenzierebbe cioè un “rapporto a tre”, con tutto quel che consegue sul piano dell’attenzione e della qualità terapeutica.

Nondimeno, la scelta del medico di famiglia va ponderata per bene, e quella di cambiarlo è un diritto riconosciuto. La principale rete associativa italiana di pazienti, Cittadinanzattiva, ha perciò elaborato un apposito vademecum. I consigli forniti sono alquanto semplici, ma a volte li si dimentica. Si tratta di analizzare gli elenchi istituiti presso le Asl (a volte anche on-line), che dal 2005 impongono anche il curriculum dei singoli medici, inclusa dunque la loro specializzazione. Non secondario, è bene informarsi sull’indirizzo, gli orari di visita, la disponibilità a consulti telefonici o a comunicazioni digitali col paziente. E se si decide di cambiare, è importante motivare la propria scelta: l’Asl, e il medico stesso, hanno diritto e dovere di conoscere le ragioni dell’eventuale “ricusazione”.

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