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Non è un tema “burocratico”, e neppure di complicata comprensione. Il nodo degli sprechi nella Sanità è collocato al cuore delle esigenze dei cittadini non solo dalle agenzie internazionali e da scoop giornalistici, ma anche dalle associazioni dei consumatori e dei pazienti.

Non è un tema “burocratico”, e neppure di complicata comprensione. Il nodo degli sprechi nella Sanità è collocato al cuore delle esigenze dei cittadini non solo dalle agenzie internazionali e da scoop giornalistici, ma anche dalle associazioni dei consumatori e dei pazienti, che al contempo lo incrociano con gli appelli a un maggior ricorso ai farmaci equivalenti. E’ il caso ad esempio della principale rete associativa italiana del settore, Cittadinanzattiva, che lo scorso anno – e non è la prima volta – ha posto al cuore della sua festa annuale, “SpreKo”, il lancio di una campagna nazionale (“IoEquivalgo”) in favore dei generici.

E adesso arriva la lente d’ingrandimento dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che sugli sprechi offre alcune utili comparazioni internazionali nel rapporto “Tackling Wasteful Spending on Health”, interessanti per aiutare il decisore pubblico (ma anche il cittadino) a capire come e quanto si può fare di più. Frodi ed errori sanitari hanno un impatto sulla spesa totale stimato globalmente al 6%; un cittadino su tre ritiene la Sanità un ambito di grave corruzione. E l’Italia è al vertice dei Paesi avanzati anche per il ricorso inappropriato ai Pronto Soccorso (20%).

Un capitolo speciale viene dedicato proprio ai medicinali generici, sia per il loro impatto sul risparmio – ad assoluta equivalenza nei principi attivi e nell’efficacia e sicurezza terapeutica – sia per le enormi differenze tra Paesi, con una penetrazione che varia dal 10% all’80%. Di nuovo l’Italia si ritrova amaramente nelle posizioni peggiori. “Deospedalizzare l’assistenza e utilizzare più frequentemente i farmaci generici” è il cuore del suggerimento che l’Ocse regala ai Paesi stretti nella tenaglia delle difficoltà economiche e delle crescenti esigenze di cura dovute all’invecchiamento della popolazione.

A supporto dell’obiettivo di incoraggiare l’uso dei generici equivalenti l’Ocse cita alcuni esempi recenti, ritenuti virtuosi: Francia e Ungheria, ad esempio hanno introdotto incentivi per i medici che li prescrivono, mentre in Grecia è stata fissata per gli ospedali una quota minima del 50% degli equivalenti, rispetto al volume totale. In Norvegia – citata più volte nel rapporto per l’efficienza e l’ampiezza dell’assistenza terapeutica – il ricorso nel settore pubblico a tali farmaci è stato assicurato tramite meccanismi di centralizzazione degli acquisti.

E il nostro Paese – che pur su altri fronti mantiene valutazioni positive sull’assistenza sanitaria – in questo conferma il ritardo. Da un altro rapporto dell’Ocse, riferito al 2015, emerge che il settore degli equivalenti rappresenta solo l’11% del mercato farmaceutico totale, meno della metà della media dei Paesi avanzati. C’è peraltro un rovescio della medaglia, segnalato in questi giorni da un rapporto Federfarma: un’accelerata tendenza al recupero. Nell’ultimo anno, infatti, tale percentuale è salita al 16% in valore, e a circa il 25% in volume (scarto che segnala esso stesso i potenziali di risparmio). Per i portafogli di tanti, così come per le casse pubbliche, è un recupero che può far la differenza nell’assicurare o meno le cure.

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