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“E’ una sanità pubblica in prognosi riservata”, lamenta la Fondazione Gimbe nel suo ultimo rapporto, discusso nei giorni scorsi in Senato, sulla “Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale” riferita primariamente ai prossimi anni.

“E’ una sanità pubblica in prognosi riservata”, lamenta la Fondazione Gimbe nel suo ultimo rapporto, discusso nei giorni scorsi in Senato, sulla “Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale” riferita primariamente ai prossimi anni. Il dato critico di base è oramai piuttosto chiaro, quello di una “domanda di salute” che cresce in relazione all’invecchiamento della popolazione e al contempo di “un’offerta” messa a rischio dalle esigenze di bilancio pubblico. In mezzo ai grandi numeri, sale la sofferenza dei singoli, con la piaga, confermata proprio in questi giorni da un altro rapporto realizzato dal Censis, sugli italiani costretti a rinunciare alle cure.

Nel mirino del Gimbe anzitutto i tanti sprechi, tra corruzione, inefficienze e visite inutili (al prezzo di non garantire talvolta quelle necessarie), conteggiati nel 2016 a oltre 22 miliardi di euro, seppure in lieve calo rispetto all’anno precedente. E poi c’è una denuncia politica esplicita: “Secondo il Def 2017 nel triennio 2018-20 il rapporto tra spesa sanitaria e Pil diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,5% nel 2018. E arriverà al 6,4% nel 2019: per la prima volta sotto la soglia d'allarme fissata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, pari al 6,5%, al di sotto della quale si riducono le aspettativa di vita”, spiega il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta, che specifica: “Se inizialmente il definanziamento della sanità era conseguenza della crisi, oggi invece è diventata una costante irreversibile”.

Una scelta deliberata, dunque, e per giunta evitabile. La stessa Fondazione, con un “position statement”, ha ribadito nei mesi scorsi l’enorme potenziale offerto da un più esteso ricorso ai farmaci equivalenti che, seppur in recupero, vedono l’Italia ancora in ritardo rispetto agli altri paesi avanzati. Ed è su quel ritardo che è iniziato il secondo anno di campagna “IoEquivalgo” della rete associativa di Cittadinanzattiva, per informare i cittadini proprio sulla documentata e completa equivalenza dei generici, a un prezzo inferiore.

A pagare tali ritardi sono i cittadini, fino al punto di dover abbandonare le terapie. Il Censis rilancia l’allarme, ed è un allarme in preoccupante crescita. Nell’ultimo anno, si legge nel suo rapporto, gli italiani che hanno rinunciato o rinviato le prestazioni sanitarie sono stati addirittura 12,2 milioni, oltre un milione in più rispetto al 2015. Di questi, due terzi sono affetti da malattie croniche, a basso reddito, le donne e i non autosufficienti.

Per giunta, i pazienti hanno speso di tasca propria per le cure non di meno, ma di più, addirittura 35,2 miliardi solo l’anno scorso. Insomma, si taglia pian piano sul Servizio Pubblico, scaricando i costi sulle tasche dei cittadini, molti della quali non ce la fanno più. Non pare un modello accettabile, senza la salute un Paese non può star bene.

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