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Diabete=”malattia del benessere”. Qualcuno accredita questa equivalenza, sulla scia del fatto che è una patologia dilagante non solo nei Paesi avanzati e ma anche in quelli emergenti, in relazione all’aumento (e spesso peggioramento) dei consumi alimentari e alla loro “industrializzazione”.

Diabete=”malattia del benessere”. Qualcuno accredita questa equivalenza, sulla scia del fatto che è una patologia dilagante non solo nei Paesi avanzati e ma anche in quelli emergenti, in relazione all’aumento (e spesso peggioramento) dei consumi alimentari e alla loro “industrializzazione”. C’è qualcosa di vero e documentato in questo, ma la realtà è che vale anche e soprattutto il contrario, specie se si guarda all’interno del contesto dei singoli Paesi. Il diabete tende a colpire perlopiù i ceti deboli, per cause da accertare nel dettaglio, ma per certi versi facilmente intuibili.

Nei giorni scorsi, alla Camera dei Deputati la Fondazione Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) ha presentato il suo rapporto annuale, realizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), fornendo nell’insieme dati piuttosto allarmanti sul nostro Paese, del resto in linea con le tendenze globali documentate recentemente dall’International Diabetes Federation: nel mondo ci sono 415 milioni di diabetici, e si prevede che nel 2040 saranno addirittura 642 milioni.

In Italia sono 3,27 milioni (dati 2015), ai quali va aggiunta la stima di un altro milione di persone che sarebbero affette da diabete senza saperlo. Solo quindici anni prima erano un milione in meno. Pesa, di certo l’invecchiamento della popolazione, ma questo non spiega tutto, anche perché l’aumento non è solo in valori assoluti, ma anche in rapporto alla popolazione. I malati erano il 3,8% nel 2000, oggi siamo al 5,4%, e le proiezioni dicono che andrà ancora peggio. “Tra 10 anni, in ogni famiglia italiana vi sarà una persona con diabete o un soggetto prediabetico”, avverte il professor Domenico Cucinotta, coordinatore del rapporto.

Il dato può suonare sorprendente, visto  che i dati riferiti all’ultimo quindicennio evidenziano anche una pur lieve diminuzione della mortalità associata alla malattia, in ragione del miglioramento delle cure farmacologiche. La spiegazione dell'aumento patologico è piuttosto nel titolo stesso del dossier, “Italian Diabetes & Obesity Barometer Report”, che mette la lente al contempo sulla malattia e sul problema del sovrappeso, col secondo che aumenta i rischi del primo. “Diabete e obesità sono oramai una pandemia”, nota Renato Lauro, presidente della Fondazione. E da questo punto di vista l’Italia sta messa comparativamente maluccio: ad esempio, la prevalenza dei bambini obesi, quasi al 10%, è ai vertici europei, trainata soprattutto dalle Regioni del Centro-Sud. Dati che, a detta della Fondazione stessa, indicano anche la strada della soluzione, quella della prevenzione alimentare, coinvolgendo le stesse scuole nell’educazione al cibo.

Una strategia per la quale esiste già una controprova, consistente nella diversa esposizione alla malattia in funzione dei livelli educativi. Secondo il rapporto, un laureato ha un rischio di ammalarsi tre volte inferiore a chi ha solo la licenza elementare, e la stessa sperequazione si nota sulla propensione al sovrappeso. Questione non di “titoli”, ovviamente, ma di tendenza a informarsi, e naturalmente anche di possibilità di accedere a cibo di qualità. Allora, altro che “benessere”. Si tratta in buona misura di una “patologia sociale”, che tende a colpire selettivamente (anche se non necessariamente) i più deboli. Il che rappresenta un richiamo agli stessi decisori, e non solo in ambito sanitario.

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