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La sensazione di aver decentemente superato lo spauracchio degli eccessi può essere a volte fondata, per la concomitanza di alcune buone ragioni.

“Pensavo peggio”, ci diciamo talvolta all’indomani di qualche tradizionale appuntamento che “chiama” all’abbuffata. È in particolare il caso delle festività natalizie, complici (oltre ai riti stessi e relative convivialità) le basse temperature che incoraggiano all’alto consumo. La realtà è che quella sensazione di aver decentemente superato lo spauracchio degli eccessi può essere a volte fondata, per la concomitanza di alcune buone ragioni.

La prima (non in ordine di importanza) è che in queste giornate si scatenano più che mai le tv, i giornali e i blog a impartirci consigli, richiesti o meno, su come “sopravvivere” alle tavole lautamente imbandite. L’informazione alimentare insomma dilaga, con ricette che vanno dall’ipotesi di un digiuno assoluto di “ricovero” a una più agevole aderenza alla miglior dieta mediterranea, fino a percorsi addirittura di “prevenzione”, per “disintossicarsi” anticipatamente rispetto alle grandi mangiate.

Le consulenze con i più solidi riscontri scientifici sono comunque quelle che, al netto di alcuni capisaldi universali – molta acqua, pochi grassi saturi, tanta frutta e verdura, ecc. – ricordano come l’ambito nutrizionale vada calibrato e personalizzato in base alle esigenze del singolo, e questo riguarda perfino (come documenta una recente revisione scientifica americana) il precetto, normalmente riconosciuto, sull’esigenza di “distribuire” l’alimentazione in tanti piccoli pasti, anziché in pochi e abbondanti: questo sembra andar bene per molte persone, ma appunto non per tutte.

In ogni caso, al di là della pertinenza di tanta divulgazione alimentare pre-festiva, essa ha comunque il merito di richiamare la nostra attenzione a quel che mangiamo. Insomma, siamo portati a “pensarci” un po’ di più, il che può esser di per sé positivo, e si aggiunge a un’altra variabile, ossia la qualità del cibo. Lo documentano anche le organizzazioni degli esercenti e degli agricoltori: gli italiani restano ai vertici europei in materia di spese natalizie, la cui prima voce (dopo i regali), è quella alimentare, anche grazie a scelte di qualità.

È un aspetto non da poco, che fa da contraltare all’allarme, rilanciato recentemente da un istituto molisano (qui già raccontato) circa l’impatto della crisi sulle scelte alimentari di risparmio (fuori dalle festività) degli italiani, nonché del loro impatto sulla salute, inclusa l’obesità. “Tra le persone che chiedono il sussidio di povertà, il 30% è obeso”, ricorda la francese Gabrielle Deydier, autrice di “Non si nasce grassi”, e testimonial di una “Giornata contro la grassofobia” mobilitata lo scorso 15 dicembre a Parigi. Il tema era la presenza di discriminazioni ed etichette sgradevoli nei confronti dell’obesità, che spesso è dovuta a specifiche patologie e non a un generico “mangiare troppo”. La scarsa qualità del cibo è invece un fattore inconfutato, e anche in Italia costituisce appunto un allarme socio-sanitario di rilievo. Le ricorrenze di fine anno, a quanto pare, fanno virtuosa eccezione.

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