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Nel 2016 le nuove diagnosi in Italia sono state ben 15.569, oltre cinquemila in più rispetto all’anno precedente.

Le precisazioni e i “ma” in tema di disturbi alimentari sono importanti quanto gli allarmi sugli stessi. Questo vale anche per il tema della celiachia, su cui il ministero della Salute ha aggiornato in questi giorni i dati ufficiali nella sua Relazione al Parlamento. Partiamo comunque da questi, che in effetti segnano una preoccupante escalation. Nel 2016 le nuove diagnosi in Italia sono state ben 15.569, oltre cinquemila in più rispetto all’anno precedente.

Si tratta di un aumento di oltre il 30%, che porta il numero di casi accertati presso la soglia di 200mila. E qui arriva però il primo “disclaimer”: i dati, seppur gravi, rappresentano solo una sottostima del fenomeno, tant’è che le proiezioni reali raddoppiano la cifra complessiva, tenendo conto dei soggetti che sono affetti senza saperlo.

Allo stesso tempo, l’incremento della casistica segnalata rappresenta anche un risvolto positivo poiché riflette, almeno in parte, un aumento della consapevolezza, pubblica e privata, sulla patologia. Lo conferma anche il dato regionale: ben un terzo delle nuove diagnosi è effettuato in Lombardia, proporzione di certo sospinta dalla qualità complessiva del servizio sanitario, anche in tema di diagnostica.

I “ma” proseguono col permanere di una certa confusione nelle percezioni del problema, a danno dei celiaci e dei non celiaci. È allora essenziale ricordare che la celiachia è una condizione particolare di origine genetica e di infiammazione cronica che richiede rigorosamente l’esclusione del glutine dalla dieta. Per chi non è affetto, invece, come avverte la stessa Associazione Italiana Celiachia, la tendenza crescente al “gluten-free” è solo una “moda”, da evitare per almeno due motivi: perché non fa affatto bene ai non celiaci (alcune ricerche recenti suggeriscono anzi rischi dal punto di vista cardiovascolare), e perché alimenta la confusione stessa sulla specificità del problema.

C’è peraltro un elemento ulteriore che complica il quadro. Il fatto che esista anche una “sensibilità non celiaca al glutine”. Anch’essa prevalente tra le donne, manifesta, all’ingestione di alimenti glutinati, sintomi analoghi alla celiachia (come dolori addominali, diarrea o costipazione, anemia, stanchezza cronica), sebbene sovente in modo più lieve, e senza l’innesco della risposta immunitaria nell’intestino tipica della celiachia stessa. Il fenomeno è sempre più riconosciuto e dibattuto nel mondo medico-scientifico, anche se permangono obiezioni a catalogare tale “ipersensibilità” come una “patologia” specifica, così come c’è chi ipotizza la presenza di un “effetto nocebo”, di natura psicologica, che inciderebbe sull’ampiezza del problema. Che comunque c’è, e va trattato seriamente in chi ne è affetto. Con l’imperativo della consultazione del medico, non solo per la dieta.

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