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È accaduto all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, con un intervento di ben undici ore, in ragione tra l’altro delle comprensibili esigenze di massima precisione dell’intervento.

Quando la fantascienza si fa scienza si arriva anche a realizzare quello che finora avremmo potuto definire solo un “miracolo”, ovvero la restituzione la vista. È accaduto all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, con un intervento di ben undici ore, in ragione tra l’altro delle comprensibili esigenze di massima precisione dell’intervento.

“È la prima volta in Italia che si impianta una protesi retinica, tra le prime al mondo”, spiega Marco Codenotti, direttore dell’équipe e del reparto chirurgico-vitroretinico che ha seguito l’operazione, ammettendo che “è stato l’intervento più complicato che abbia mai eseguito”. Col lieto fine, comunque, di “un sogno realizzato”.

La paziente, di 50 anni, di cui la metà trascorsi da non vedente, è stata presto dimessa: per il riscontro definitivo servirà ancora qualche giorno, ma la convinzione è che gradualmente potrà recuperare autonomamente almeno in parte la vista. Si tratta cioè di attendere un po’ per l’accensione del “microchip”, che dovrebbe aver luogo a circa un mese dall’intervento, in modo che l’occhio possa avere la piena facoltà di farne uso.

L’aspetto straordinario è infatti che l’organo potrà recuperare una capacità autonoma di funzionamento, senza bisogno di ausili esterni, quali telecamere o appositi occhiali. Un vero e proprio “occhio bionico”, spiega Codenotti, ossia una protesi sotto-retinica artificiale, ad alta definizione (contiene 1600 pixel), capace di stimolare il circuito nervoso endogeno che collega l’occhio al cervello, in sostituzione dell’attività solitamente svolta a livello cellulare dai fotorecettori della retina stessa.

L’occhio, a quel punto, è in condizione di “reimparare” gradualmente a vedere, quantomeno tramite una pur vaga distinzione tra luci e ombre. L’intervento ha dunque davvero i connotati dello straordinario, oltre che dell’impensabile fino ad ora. C’è un’avvertenza, comunque: la tecnologia non può restituire la vista alla totalità dei ciechi, ma solo a quelli che lo sono diventati al seguito di qualche malattia genetica come la retinite pigmentosa.

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