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Per la prima volta al mondo un essere umano è stato messo in “animazione sospesa”, cioè è stato sottoposto a un rallentamento delle normali funzioni vitali. Si tratta di uno stato che ricorda vagamente l’ibernazione rappresentata in molti libri e film di fantascienza. A riuscire per primi nell’impresa è stato un gruppo di scienziati dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti. I risultati, descritti in un articolo pubblicato sulla rivista New Scientist, sono stati raggiunti nell’ambito di un trial che mira a rendere possibile la riparazione chirurgica di lesioni traumatiche che altrimenti causerebbero la morte. La tecnica, ufficialmente chiamata “emergency preservation and resuscitation”(EPR), è indicata ad esempio per tutte quelle persone che arrivano in ospedale con un trauma acuto, come un colpo di pistola o una coltellata, e che hanno subito un arresto cardiaco.

Insomma è applicabile, almeno per il momento, a casi disperati: il cuore dei pazienti deve aver smesso di battere e i soggetti devono aver perso più della metà del loro sangue. In situazioni simili i chirurghi hanno solo pochi minuti per operare, con una probabilità inferiore al 5 per cento di far sopravvivere il paziente. Con l’”animazione sospesa” la finestra si allarga significativamente, concedendo ai chirurghi 2 ore di tempo per la riparazione delle lesioni.  Nella pratica l’EPR comporta il raffreddamento rapido di una persona tra i 10° e i 15° C, sostituendo tutto il sangue con soluzione salina ghiacciata, operazione che interrompe quasi completamente l’attività cerebrale del paziente e rallenta o arresta tutte le attività cellulari, con conseguente minor bisogno di  ossigeno.  Alla fine dell’intervento i soggetti vengono nuovamente riscaldati e i medici fanno ripartire il cuore.

L’obiettivo finale degli scienziati americani è di coinvolgere nello studio clinico 20 persone: 10 che verranno messi in “animazione sospesa” e 10 candidabili all’EPR ma alla fine trattati normalmente. L’obiettivo è di confrontare gli esiti delle due procedure. La Food and Drug Administration ha dato il via al trial e ha esentato il team dal bisogno di avere il consenso del paziente in quanto le lesioni dei possibili partecipanti dovrebbero essere probabilmente fatali e senza possibilità di cura. Samuel Tisherman, responsabile del team di ricerca, spera di poter annunciare i risultati completi dello studio entro la fine del 2020.    

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