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Nella Repubblica Democratica del Congo ci sono migliaia di persone che risultano positive agli anticorpi HIV, ma hanno una carica virale bassa o non rilevabile, senza essere in trattamento con farmaci antiretrovirali. Fanno parte della cosiddetta “Elite Controllers” dell’HIV, solo che sono più numerosi del previsto. A individuarli è stato un gruppo di ricercatori di Abbott, della Johns Hopkins University, del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, della University of Missouri di Kansas City e della Université Protestante au Congo (https://upc.ac.cd/). I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista The Lancet EBioMedicine, potrebbero aiutare i ricercatori a scoprire, all’interno di questa popolazione, trend biologici che potrebbero determinare progressi nelle cure dell’HIV e potenzialmente anche vaccini.

In particolare, i ricercatori hanno scoperto che la prevalenza di Elite Controllers nella Repubblica Democratica del Congo era del 2,7-4,3%, rispetto allo 0,1-2% del resto del mondo. “Prima di questo studio ci sono stati rari casi in cui in singoli individui l’infezione non è progredita, ma questa frequenza elevata è insolita e suggerisce che nel Congo stia accadendo qualcosa di interessante a livello fisiologico, e non casuale”, dichiara Tom Quinn, MD, Direttore del Johns Hopkins Center for Global Health e direttore della International HIV/AIDS Research Section del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, National Institutes of Health. Dall’inizio dell’epidemia globale di HIV, 76 milioni di persone hanno contratto l’HIV, e oggi 38 milioni di persone convivono con il virus.

I campioni di plasma raccolti dal programma di sorveglianza nel 1987, 2001-2003 e 2017-2019 nella Repubblica Democratica del Congo - che è l’origine dei più antichi ceppi di HIV conosciuti - hanno consentito ai ricercatori di escludere i falsi positivi, gli errori del sito di raccolta, l’elevata diversità genetica e il trattamento antiretrovirale, come cause di cariche virali non rilevabili nei 10.457 pazienti coinvolti tra il 2017 e il 2019. “Ogni nuova scoperta sull’HIV è un altro tassello del puzzle evolutivo che stiamo cercando di comprendere”, afferma Carole McArthur, professoressa nel dipartimento di scienze orali e craniofacciali della University of Missouri, Kansas City, direttrice della ricerca in patologia presso il Truman Medical Center e uno degli autori dello studio. “Ciascuno di questi tasselli ci aiuta a vedere un po’ più chiaramente dove ci dobbiamo concentrare, e contribuisce al corpus di conoscenze su cui tutti i ricercatori faranno affidamento nella prossima fase del nostro lavoro”, conclude.

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