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Un aiuto per i malati di sclerosi multipla potrebbe arrivare da molecole già utilizzate e quindi approvate. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Ferrara ha scoperto che alcune molecole, tra gli antipsicotici, potrebbero arrestare i meccanismi indotti dalla malattia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale. Caratterizzata da una sintomatologia facilmente confondibile con altre condizioni, colpisce oltre due milioni di persone nel mondo, con una decisa prevalenza delle donne. Nonostante la sua diffusione e le tante ricerche in corso, le risposte terapeutiche restano poco soddisfacenti, soprattutto per le fasi avanzate della malattia. “La sclerosi multipla - spiega Michele Simonato, tra gli autori dello studio - è caratterizzata da una risposta anomala del sistema immunitario che attacca alcuni elementi del sistema nervoso centrale, in particolare gli oligodendrociti, responsabili delle comunicazioni tra neuroni, scambiandoli per corpi estranei”. Aggiunge Carlotta Giorgi dell'Università di Ferrara, altra autrice dello studio: “Si tratta di un caso estremo di autofagia: di norma nel nostro corpo, questo meccanismo ci consente di rinnovare componenti che si stanno degradando, ma in alcuni rari casi può sfuggire al controllo della cellula stessa, che comincia a digerirsi. Grazie a dei biomarcatori, abbiamo notato che l’autofagia era molto frequente nei pazienti affetti da sclerosi multipla, e quindi ci siamo chiesti se potesse giocare un ruolo causale. Ad oggi, sono ancora molti i punti interrogativi sulle cause della sclerosi multipla, pertanto, ogni studio che vuole approfondirne l’eziologia, è incoraggiato”.

Date le complessità intrinseche dello studio della malattia, come il difficile accesso al tessuto nervoso umano, i ricercatori hanno dovuto alternare prove sperimentali in vivo (pazienti e animali) e in vitro (riproduzione cellulare). “Abbiamo testato - spiega Simone Patergnani, altro autore dello studio - diversi tipi di molecole, accomunate dal fatto di essere in grado di bloccare i meccanismi di autofagia, per vedere se questo potesse preservare gli oligodendrociti, ostacolando l’avanzare della malattia”. Aggiunge Pinton: “Non soltanto abbiamo trovato sostanze che permettono di salvare il sistema nervoso, ma la cosa interessante è che alcune di queste sono contenute in farmaci già in commercio, come gli antipsicotici. Questo è stato un grande risultato, in quanto faciliterebbe incredibilmente l’immissione del farmaco sul mercato, favorendone la diffusione. Un ulteriore esempio di come sia possibile fare ricerca di alto livello in Unife grazie alla collaborazione tra gruppi di ricerca provenienti da ambiti diversi”. Il farmaco proposto dal team di ricercatori darebbe i maggiori benefici nella fase progressiva della malattia, quando le fasi acute si susseguono senza permettere al corpo di riprendersi. Una fase molto delicata, soprattutto perché fino ad oggi non esistevano cure, ma solo terapie palliative.

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