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Grazie a una nuova terapia proteica presto sarà possibile rallentare e, in parte, invertire il processo di invecchiamento dei nostri occhi. A metterla a punto e a testarla su animali e su un piccolo gruppo di pazienti è stato un team di scienziati dell'Università Sun Yat-Sen in Cina- Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Traslational Medicine, apre nuovi interessanti prospettive terapeutiche contro la degenerazione maculare legata all’età o AMD, una patologia che causa una visione centrale sfocata o ridotta in uno o in entrambi gli occhi. Non solo. La stessa terapia potrebbe funzionare anche per altri disturbi che colpiscono gli occhi.

L’AMD è la causa più comune di perdita della vista negli anziani e gli studi prevedono che la condizione affliggerà 288 milioni di persone nel mondi entro il 2040. La forma neovascolare della malattia si verifica quando i vasi sanguigni crescono in modo anomalo nel punto sbagliato dell’occhio, il che porta al danno retinico e alle cicatrici fibrotiche. I medici trattano l’AMD neovascolare con farmaci anti-VEGF come il bevacizumab, che agiscono inibendo la proteina VEGF di supporto dei vasi. Tuttavia, ben due terzi dei pazienti perdono ancora il loro guadagno iniziale della vista dopo 5-7 anni, sottolineando la necessità di nuovi farmaci che possano colpire sia il VEGF che altre molecole che guidano la condizione. I ricercatori hanno condotto studi sugli animali e uno studio clinico di fase 1 per studiare la proteina di fusione bispecifica efdamrofusp alfa, che può neutralizzare sia il VEGF che le proteine ​​del complemento legate alla malattia.

Ebbene, dai risultati è emerso che Efdamrofusp alfa ha superato il farmaco anti-VEGF approvato aflibercept in un modello murino di AMD indotta da laser. Le iniezioni intravitreali sono risultate sicure e hanno ridotto la crescita eccessiva dei vasi sanguigni e l’accumulo di liquidi nell’occhio in un modello di primate non umano. Nello studio, il composto ha causato solo lievi effetti collaterali in 31 pazienti con AMD neovascolare e alcuni pazienti hanno mostrato miglioramenti nei punteggi dell’acuità visiva. Secondo i ricercatori, sono necessari ulteriori studi che coinvolgono campioni di dimensioni più grandi.

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