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L'inquinamento è in grado di attraversare il pancione di una donna incinta. Uno studio condotto dagli scienziati dell’Università di Aberdeen, nel Regno Unito, e dell’Università di Hasselt, in Belgio, ha scoperto che particelle di inquinamento atmosferico possono raggiungere i bambini nel grembo materno passando attraverso il flusso sanguigno della madre. Le nanoparticelle passano dalla placenta fino a raggiungere gli organi in via di sviluppo del feto entro le prime 12 settimane. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Planetary Health.

I ricercatori hanno studiato le nanoparticelle di inquinamento atmosferico, chiamate black carbon – o particelle di fuliggine – per determinare se potevano raggiungere il feto. Per la prima volta hanno trovato evidenze che gli inquinanti entrano negli organi in via di sviluppo, inclusi fegato, polmoni e cervello. In particolare, i ricercatori hanno trovato pericolose nanoparticelle che hanno attraversato la placenta nel feto nell’utero già a tre mesi dall’inizio della gravidanza. Lo studio, inoltre, ha evidenziato che a più inquinamento atmosferico sono state esposte le madri, maggiore è il livello di nanoparticelle inquinanti trovate nel bambino.

Gli scienziati ritengono che questo possa significare che le donne incinte che vivono nelle aree più inquinate sono maggiormente a rischio di natimortalità e hanno probabilità più alte di mettere al mondo bambini con problemi di salute. “Quello che abbiamo dimostrato per la prima volta è che le nanoparticelle di inquinamento atmosferico di carbonio nero non solo entrano nella placenta del primo e del secondo trimestre, ma poi si fanno strada anche negli organi del feto in via di sviluppo, inclusi fegato e polmoni”, scrivono gli autori. “Ciò che è ancora più preoccupante è che queste particelle di carbonio nero entrano anche nel cervello umano in via di sviluppo. Questo significa che è possibile che queste nanoparticelle interagiscano direttamente con i sistemi di controllo all’interno di organi e cellule fetali umani”, concludono.

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