C’è uno stretto legame fra l’intestino umano e alcuni difetti dello sviluppo neurologico. È stato visto in una malattia neurologica rara che colpisce soprattutto le bambine, un risultato che apre la strada alla possibilità di migliorare la qualità di vita dei pazienti intervenendo sull’insieme dei batteri che popolano l’intestino. Pubblicata sulla rivista Cell Reports la scoperta è frutto della collaborazione tra Scuola Superiore Sant’Anna Scuola Normale Superiore, Università di Pisa, CNR e Max Planck Institute di Berlino. “Modulando il microbiota intestinale, possiamo essere in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e potenziare l’efficacia di altre terapie”, osserva la coordinatrice dello studio Paola Tognini, del Centro interdisciplinare Scienze della Salute della Scuola Sant’Anna di Pisa.
I ricercatori hanno studiato il disturbo da deficienza di Cdkl5 (Cdd), una malattia genetica rara e grave che colpisce prevalentemente le bambine, causando encefalopatia, epilessia farmaco-resistente, gravi ritardi nello sviluppo motorio e cognitivo, e problemi visivi. Fino ad oggi, le terapie si sono concentrate principalmente sul cervello, ma una svolta inaspettata potrebbe arrivare dal nuovo studio: per la prima volta è stato dimostrato come uno squilibrio nel microbiota intestinale (l’insieme dei batteri che popolano il nostro intestino) abbia un ruolo causale in alcuni sintomi neurologici della patologia.
“È stato sorprendente scoprire un legame così stretto. Guardare all’intestino per capire e trattare una malattia del cervello non è più fantascienza - spiega la Tognini -. I nostri dati - prosegue - suggeriscono che le alterazioni del microbiota non sono un semplice effetto collaterale, ma giocano un ruolo attivo. Questo ci offre un bersaglio completamente nuovo – conclude la ricercatrice -. Modulando il microbiota intestinale, ad esempio con probiotici mirati, diete specifiche o persino il trapianto di microbiota, potremmo essere in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti e potenziare l’efficacia di altre terapie”.