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Arriva dagli Stati Uniti un nuovo messaggio dei cardiologi: non è più il colesterolo a dover essere curato, ma i pazienti. Cosa singifica? Che non bisogna concentrarsi sul colesterolo alto quando già è a liveli problematici, ma bisogna preoccuparsi della prevenzione, in un modo innovativo: secondo le nuove linee guida, i pazienti vengono divisi in due gruppi: quelli che hanno già avuto problemi cardiovascolari e quelli che hanno il colesterolo alto, ma non hanno disturbi.

Nel primo gruppo, si suggerisce di somministrare statine (che sono i farmaci anti colesterolo più utilizzati) alle dosi indicate dagli studi clinici. Questa è la prevenzione secondaria. La prevenzione primaria, invece, punta a impedire che una patologia si manifesti: il punto di partenza è considerare che il colesterolo non è una malattia, ma solo una spia di pericolo che va valutata tenendo conto della situazione complessiva, caso per caso.

Va considerato che di colesterolo ne esistono due tipi, l’Ldl, o colesterolo "cattivo", il cui livello ideale nel sangue dovrebbe essere inferiore ai 130 milligrammi per decilitro (mg/dl) di sangue, e l’Hdl, quello "buono", che dovrebbe essere superiore ai 60.


Quello che suggeriscono gli americani è quindi di mettere in terapia farmacologica persone con più di 21 anni che hanno l’Ldl al di sopra di 190 mg/dl (data l'età, si tratta in genere di soggetti in cui l’aumento di questa sostanza ha cause genetiche), i soggetti diabetici e tutti coloro che hanno una probabilità di andare incontro a problemi cardiovascolari perché hanno altri fattori di rischio: il fumo, la pressione arteriosa elevata o una ridotta presenza di Hdl. 
In tutti gli altri casi che non rientrano in queste categorie, il suggerimento è quello di ricorrere ad altri sistemi per ridurre il colesterolo, come la dieta o l’attività fisica.


Le nuove linee guida americane hanno quindi il pregio di rimettere in prima linea la clinica (cioè il paziente) e, in seconda, il laboratorio (e cioè il livello del colesterolo nel sangue). E potranno anche avere delle ripercussioni in Europa, dove, però, la situazione è un po’ diversa. Per esempio, secondo le linee guida europee i pazienti che hanno avuto incidenti cardiovascolari vengono messi in terapia quando hanno valori di colesterolo più alti rispetto a quelli previsti dagli americani: noi, cioè, siamo un po’ meno aggressivi sulla terapia. 
«Anche le nostre regole guardano ai valori di laboratorio - commenta Cesare Sirtori, direttore del Centro Dislipidemie dell’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda di Milano - ma noi siamo da sempre più attenti ai pazienti». 
Insomma, lo «spettro colesterolo» assume nuove connotazioni e viene reinterpretato dalla clinica. Forse si è anche esagerato nel propagandarlo come il «nemico numero uno per la nostra salute cardiovascolare».


E si ha anche la sensazione che l’atteggiamento aggressivo del passato nei confronti di questa condizione clinica (terapia a tutti i costi per ridurre i «valori bersaglio» dei test di laboratorio) sia stata dettata più da interessi commerciali di chi voleva vendere farmaci che da serene valutazioni cliniche. Ora che molte medicine hanno perduto il brevetto, si ritorna a scelte più ragionate. «Noi cerchiamo anche di prendere in considerazione elementi - aggiunge Sirtori - che gli americani hanno trascurato. Per esempio: anche i trigliceridi hanno la loro importanza. E ci sono anche altri farmaci che possono essere utili per ridurre colesterolo e trigliceridi che gli americani hanno ignorato nelle loro linee guida».

 

Fonte corriere.it

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