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Da una ricerca australiana emerge un’aggiornata gerarchia tra gli ingredienti “colpevoli” dei chili in eccesso, e delle patologie correlate: c’è un indiziato numero uno, ed è il sale.

Siamo attenti, alcuni di noi attentissimi, ai grassi e ai cibi dannosi. E facciamo bene, perché una dieta equilibrata è il fondamento della salute e della “linea”. Da una ricerca australiana emerge, però, un’aggiornata gerarchia tra gli ingredienti “colpevoli”. Se, per esempio, mangiamo una patatina fritta, specie quelle in sacchetto, e sentiamo quell’irresistibile stimolo, quasi la dipendenza, a mangiarne cento, la colpa primaria non sta in oscure alchimie. C’è un indiziato numero uno, ed è banalmente il sale.

I ricercatori dell’Università di Deakin hanno convocato 48 adulti di ambedue i sessi, proponendo loro il medesimo pasto dopo la medesima colazione. Sono state prese in considerazione molte variabili, ma solo una è emersa come determinante. Chi mangiava cibi più salati, a parità di altre condizioni, è risultato aver bisogno di assumere l’11% del cibo in più. Il mistero sarebbe tutto qui: chi mangia più salato ha bisogno di altre calorie aggiuntive e questo, nella quotidianità, fa una differenza cospicua.

Anche nel nostro paese la ricerca ha rilanciato recentemente i rischi di una dieta ricca di sale. Secondo la Società Italiana di Nutrizione Umana, il nostro consumo medio tra gli adulti è stimato in 9 grammi al giorno, contro il tetto massimo dei 5 grammi raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. I maggiori picchi si registrano al Sud, tra prodotti da forno, formaggi, salumi e tutti i prodotti confezionati con i loro livelli salini “nascosti”. Le conseguenze? L’aumento del rischio di ictus e malattie cardiache.

Nei giorni scorsi, in occasione della Giornata Mondiale del Rene, il tema è stato rilanciato, a partire dall’infanzia, con tanto di allarme sul fatto che il 7% degli italiani soffre di malattia renale cronica. Di nuovo, in cima al “decalogo” della prevenzione, quando si tratta di alimenti, l’imperativo è la riduzione del sale.

In tutto questo, c’è una curiosità. Nelle sintesi giornalistiche anglosassoni e italiane della ricerca australiana, si fa riferimento al “pacchetto di patatine”. La realtà, che ci coinvolge ancor più da vicino, è che, in realtà, lo studio è stato condotto sulla pasta e su quanto sale ci mettiamo.

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