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Il National Centre for Global Health and Medicine di Tokyo ha completato una corposa verifica di indicazioni sulla dieta da seguire, elaborate nel 2005.

Nel 2005 il paternalistico governo giapponese elaborò una vera e propria “guida” alimentare, suggerendo ai concittadini il dettaglio di una dieta salutare. Vent'anni dopo, non pago, il National Centre for Global Health and Medicine di Tokyo ha completato una corposa verifica di tali indicazioni. Confermandone l'efficacia attraverso il riscontro di dati piuttosto vistosi sul loro impatto per la salute.

La minuziosa disamina ha coinvolto quasi ottantamila nipponici tra i 45 e i 75 anni, senza pregressi per cancro, malattie cardiovascolari o del fegato. In sintesi, coloro che seguivano meglio il vademecum su quantità e varietà dei cibi suggeriti hanno fatto registrare un tasso di mortalità più basso degli altri, addirittura del 15%. Il dato è impressionante anzitutto per quel che ribadisce sull'estrema importanza di una buona alimentazione.

I dettagli della ricerca forniscono poi delle sostanziose conferme sui capisaldi della “miglior dieta”. E a ben vedere, per la verità, il segreto perorato da Tokyo non si confina nel sushi o nel sashimi. Il nodo cruciale identificato dai ricercatori sta nell'equilibrio tra le varietà. Il nostro corpo richiederebbe prioritariamente un buon bilanciamento tra cereali, ortaggi, frutta, pesce e perfino carne, senza esagerare in alcuna di esse. Chi mangia così terrebbe alla larga le patologie più insidiose, con percentuali notevoli soprattutto per le malattie cerebrovascolari, terza causa di morte nei paesi avanzati.

Un aspetto per noi interessante sta nel fatto che tali indicazioni ricalcano da vicino gli ingredienti essenziali della dieta mediterranea. Eletta cinque anni fa a “Patrimonio Culturale dell'Umanità” dall'Unesco, è stata poi etichettata dall'Università di Harvard come “medicina” migliore contro l'invecchiamento.

Tra i mille riconoscimenti (e qualche tentata controindicazione), uno è arrivato nei giorni scorsi anche dalla Germania. Nonostante tale dieta non sia molto ricca di vitamina D – nota l'Università di Wurzburg - risulta un antidoto perfino alla frattura dell'anca.

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