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Nel verde si sta bene, è abbastanza chiaro a tutti. Viverci migliora però non solo genericamente la “qualità della vita”, ma anche – dimostra ora una corposa ricerca americana - la sua “quantità”.

Nel verde si sta bene, è abbastanza chiaro a tutti. Viverci migliora però non solo genericamente la “qualità della vita”, ma anche – dimostra ora una corposa ricerca americana - la sua “quantità”. Il sogno di un “ritorno alla natura” è in verità perlopiù un decantato fioretto senza seguito concreto, tant'è che, se il processo di urbanizzazione coinvolge al momento circa la metà della popolazione mondiale, entro cinque anni la proporzione supererà nettamente i due terzi, secondo ogni stima internazionale. Tuttavia, a incalzare in modo consistente sui benefici di quel “salto all'indietro” realizzato da pochissimi interviene una ricerca dell'Harvard Chan School of Public Health.

Gli esiti sono pubblicati sulla rivista Environmantal Health Perspectives. E' stato osservato un campione di oltre 108mila donne, per un periodo di otto anni, ricostruendone il vissuto “geografico” e “clinico” tra il 2000 e 2008. Il dato complessivo è quello di una riduzione del 12% del tasso di mortalità tra chi vive in aree a più fitta vegetazione.

In cima ai benefici c'è naturalmente la qualità del respiro con un tasso di decesso per tali patologie ridotto del 34%, ma significative differenze sono state rilevate anche sulle malattie tumorali. “S appiamo che piantare della vegetazione può aiutare l'ambiente in molti modi, ma ora abbiamo dimostrato un co-beneficio, quello di migliorare la salute ”, rivendica il coordinatore dello studio Peter James.

Non ultimi, tra i vantaggi rilevati, quelli sulla salute mentale, con il riscontro di una riduzione addirittura del 30% nell'incidenza della depressione. In questo peserebbero, secondo i ricercatori, non solo la qualità migliore dell'aria, ma anche spazi e temi incrementati di relazione sociale e attività fisica.

Salvifico il verde, dunque, e, se proprio non è possibile il trasloco in campagna, l'urgenza è quella di migliorare l’ambiente urbano. Il tema era stato approfondito l'anno scorso da una ricerca di biologi californiani, che ne hanno rilevato il positivo impatto sull'attività cerebrale, con particolare riferimento all’attività della corteccia prefrontale subgenuale. Determinanti le politiche urbanistiche per rinvendire le città, favorirne l'attività sportiva e la mobilità in bicicletta. Ma è decisivo anche il comportamento individuale: “ 90 minuti al giorno di passeggiata nei parchi” è la ricetta accertata dai ricercatori.

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