MENU
La cosiddetta “medicina di genere”, che fino a poco fa era percepita come una sorta di istanza ideologica di parte, è un tema oramai riconosciuto in modo solenne nel nostro Paese, ancor più che altrove. Eppure non basta.

“Le donne pur essendo più longeve degli uomini trascorrono un minor numero di anni in buona salute […] Nonostante gli sforzi già compiuti a livello nazionale e internazionale per migliorare l'approccio terapeutico e l'incidenza di fattori di rischio, è ancora profondo il divario da colmare”. Nel telegramma scritto da Sergio Mattarella per la I Giornata per la Salute della Donna, c’è l’imprimatur presidenziale: la cosiddetta “medicina di genere”, che fino a poco fa era percepita come una sorta di istanza ideologica di parte, è un tema oramai riconosciuto in modo solenne nel nostro paese, ancor più che altrove. Eppure non basta.

Il lascito della giornata del 22 aprile è primariamente questo, la completa presa di coscienza dai vertici delle autorità politiche e sanitarie nazionali circa l’articolata natura della problematica e l’urgenza di un cambio di passo. Perfino in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità permane qualche resistenza, confinando l’analisi essenzialmente agli aspetti socio-economici e culturali che penalizzano la donna, mentre c’è anche e anzitutto dell’altro. “Le donne sono fatte diversamente”, sottolinea la stessa Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, sicché “necessitano di sperimentazioni cliniche ad hoc sui farmaci”.

Hanno, tra l’altro, un metabolismo differente, “una variabilità ormonale che necessita testare un medicinale su molte più persone per avere dati attendibili», spiega Daniela Melchiorri, rappresentante italiana all’Agenzia Europea del Farmaco. Invece, ancora non si fa, almeno non abbastanza: secondo la Società Italiana di Farmacologia, le sperimentazioni che arruolano anche le donne sono ancora solo il 30%, seppur con miglioramenti negli ultimi anni, specie nella “fase 3” (l’ultima, e più estesa, prima dell’immissione del farmaco sul mercato). “Il divario è ancora ampio”, ammette anche il Direttore Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco Luca Pani, notando a margine che “sono rarissime le donne volontarie sane”.

Di qui, un “Manifesto per la salute femminile”, orientato a “promuovere politiche di coinvolgimento di tutte le istituzioni, ricerca, società scientifiche, sperimentazione farmacologica, medicina di base, farmaceutica, e convogliare risorse economiche e professionali per operare un rinnovamento culturale che accompagni il progresso scientifico”. Poi, un intero Quaderno del Ministero della Salute dedicato alla medicina di genere. E ancora, le “50 azioni”, identificate nei 10 tavoli di lavoro allestiti a Roma il 22 aprile, incluso l’impegno per una ricerca sui farmaci che “distingua tra uomini e donne”.

Qualche passo c’è stato, ma servirebbe, dunque, un salto. L’urgenza è documentata dalla demografia: il vantaggio delle donne sugli uomini in termini di speranza di vita si è assottigliato quasi ovunque in Europa negli ultimi 10 anni. Dato ulteriormente significativo: il differenziale si è assottigliato soprattutto in paesi ad alta assistenza sanitaria, quali Svezia, Danimarca e Olanda. Migliorano le cure, ma per gli uomini.

Articoli Correlati

x