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Principi attivi, efficacia terapeutica, sicurezza, sono identici nei farmaci equivalenti, la sola differenza è nel loro prezzo inferiore. Solo che quella differenza è enorme, con potenziali inesplorati per i bilanci delle famiglie come della sanità pubblica.

Ci sono le parole, e sono oramai le stesse, da parte di tutti, dalle associazioni dei pazienti al Ministero, dal governo alle Università, dall’Agenzia Italiana del Farmaco alle imprese produttrici, incluse quelle dei farmaci “di marca”. Principi attivi, efficacia terapeutica, sicurezza, sono identici nei farmaci equivalenti, la sola differenza è nel loro prezzo inferiore. Solo che quella differenza è enorme, con potenziali inesplorati per i bilanci delle famiglie come della sanità pubblica. E allora le cifre dicono ancor meglio delle parole. Le ultime sono uscite nei giorni scorsi sul Journal of the American Medical Association.

Gli studiosi delle Università dell’Ohio e del Michigan hanno analizzato la spesa farmaceutica di oltre 107mila utenti americani, pari a complessivi 760 miliardi di dollari, di cui 170 pagati direttamente dai cittadini. Ora, anche compiendo una serie di sottrazioni (legate a prescrizioni, permanenza del brevetto, indisponibilità del sostituto), la spesa nella marca, laddove c’era l’alternativa del generico, è stata conteggiata sui 73 miliardi di dollari. Ebbene, ricorrendo agli equivalenti, i pazienti ne avrebbero risparmiati 25.

Sono dati impressionanti, che poi risultano ancor più vistosi considerando che negli Stati Uniti le percentuali del ricorso agli equivalenti sono ben più alte che in Italia. La loro quota nel mercato farmaceutico complessivo oltreoceano, in base all’ultima indagine comparata dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), è all’84%. Nel nostro paese è solo al 19%, in volume, addirittura l’11% in valore, ai bassifondi nella classifica dei paesi avanzati.

E ci sono un po’ di altri dati concomitanti che lo stesso rapporto Ocse segnala e dovrebbero indurre alla riflessione. Il più generale e vistoso è quello del taglio alla spesa sanitaria pro-capite nel nostro paese dal 2011, addirittura del 3,5% in termini reali nel solo 2013. Livelli complessivi “ ampiamente al di sotto della spesa di alti paesi OCSE ad alto reddito”, nota l’organizzazione, che sottolinea anche come la quota di spesa farmaceutica pubblica italiana sia inferiore alla media. E tutto questo nonostante “ molti indicatori sull’assistenza primaria e ospedaliera rimangano invece al di sopra della media”.

C’è insomma una Sanità che resiste, per l’impegno dei suoi operatori. Ma il quadro, a conti fatti, è quello di un declino nell’impegno pubblico che, anziché spingersi verso ulteriori orizzonti di “tagli”, potrebbe trovare risorse altrove, nel mondo dei farmaci stesso, con il ricorso agli equivalenti. Le cifre potenziali di tale risparmio sono aggiornate mensilmente dal “Salvadanaio della Salute” di Assogenerici. Sarebbero tali da cambiare radicalmente il quadro della Sanità italiana.

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