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Un'indagine del Censis ha svelato l'allarmante cifra di 11 milioni di persone costrette nell'ultimo anno a rinviare o a rinunciare alle prestazioni sanitarie.

“Deve essere chiaro a tutti che non si possono fare le nozze con i fichi secchi”. È l'amara ammissione della Ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Il riferimento era a una serie di dati emersi nei giorni scorsi sulle difficoltà della sanità e dei pazienti italiani, che a ben vedere ruotano tutti intorno al nodo dei costi, senza esclusione per quelli farmaceutici.

A far rumore, e a indurre la Ministra a commentare – e a prospettare anche una “una norma che imponga di valutare i manager anche in relazione agli obiettivi di riduzione delle liste d'attesa” - è stata soprattutto un'indagine del Censis che ha svelato l'allarmante cifra di 11 milioni di persone costrette nell'ultimo anno a rinviare o a rinunciare alle prestazioni sanitarie. La causa principale è appunto il loro costo che, sommato ai tempi lunghi d'attesa, induce molti a lasciar perdere, e altri a rivolgersi ai privati, anche perché i ticket sono aumentati (del 5,6% negli ultimi tre anni) fino a risultare talora più onerosi della prestazione al di fuori delle strutture pubbliche.

Eppure, perfino in tempi di crisi, gli italiani sono disposti a spendere prioritariamente per la salute, quando possono. Tra il 2013 e il 2015 l'esborso da loro sostenuto nel settore è cresciuto del 3,2%, il doppio del resto dei consumi. Il problema è che molti invece non possono, e questo naturalmente riguarda soprattutto le fasce deboli, ossia gli anziani e i giovani. Ulteriore aggravante, mentre i costi salgono, la qualità del Servizio Sanitario Nazionale è percepita in peggioramento dal 45% degli italiani.

A tali cifre si incrocia l'ultimo consuntivo dell'Agenzia Italiana del Farmaco, che certifica per il 2015 un rosso da 1,880 miliardi di euro. Eppure, la spesa convenzionata netta è scesa dell'1,40% e le ricette sono calate del 2,17%. Com'è possibile tale contraddizione? Sta nel fatto che quasi l'intero “buco” è causato dalla spesa farmaceutica ospedaliera. Si tratta cioè dell'ambito su cui rimane più marginale il ricorso ai farmaci equivalenti. “E' tempo di promuoverne l'utilizzo”, ha nuovamente protestato al Senato il presidente dell'Aifa Mario Melazzini.

Il tema della sostenibilità finanziaria e della qualità dei generici  ha fatto irruzione anche nella festa per il trentennale di Slow Food, a Roma. Al Centro Congressi di Eataly, la rete associativa Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato ha tenuto giovedì scorso un altro, solido incontro pubblico nell'ambito della campagna nazionale “IoEquivalgo”. L'equivalente è rigorosamente tale in tutto (principi attivi, efficacia e sicurezza terapeutica), tranne che in quella variabile oggi non più trascurabile, pena l'esclusione di milioni di pazienti dalle terapie: il prezzo, nettamente inferiore.

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