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Il percorso di sensibilizzazione nei confronti di questa importante patologia sembra segnare il passo, con indicatori allarmanti anche dall’Italia.

A trentacinque anni dalla scoperta della malattia, nel complesso e lungo notiziario sull’evoluzione dell’Aids, le ultime novità sono sostanzialmente due, come emerso anche dal vertice delle Nazioni Unite dei giorni scorsi sul tema. Una buona e una cattiva. La prima è che la ricerca e la cura stanno producendo risultati incoraggianti, sebbene permangano criticità, specie tra i Paesi più colpiti e meno abbienti. La seconda è che il percorso di sensibilizzazione sembra segnare il passo, con indicatori allarmanti anche dall’Italia.

Cominciamo dalle cattive notizie, e dal nostro Paese. “ C’è ancora un preoccupante scarso livello di conoscenza specie tra i giovani, ossia le fasce più a rischio”, nota Rosaria Iardino, presidente onorario dell’Onlus Nps Italia, che ha commissionato un’indagine all’Swg, presentata una settimana fa all’Italian Conference of Aids and Antiviral Research, tenutasi a Milano. Tra i dati più eclatanti: il 50% degli intervistati neppure sa cosa sia l’Hiv, proporzione che aumenta tra i giovani; e il 55% dei ventenni ha paura di un semplice contatto fisico con un sieropositivo. Insomma, permane la disinformazione e lo stigma sui malati, complice anche larga parte dei media, “impreparati e orientati tuttalpiù all’allarmismo”. E questo è gravissimo, perché va a colpire il più efficace degli antidoti, ossia una corretta prevenzione.

Dal Palazzo di Vetro di New York arrivano invece segnali positivi sul progresso delle cure, per qualità ed estensione dei pazienti raggiunti. Questi sono raddoppiati negli cinque ultimi anni, arrivando a circa 17 milioni, sulla scia di un accordo globale che ha fissato l’obiettivo (peraltro difficilmente perseguibile fino in fondo), di raggiungerne 30 entro il 2020. C’è però un grande “ma”, rimarcato tra gli altri dal Medici Senza Frontiere, e sta nel fatto che c’è un’estesa area del pianeta che è rimasta quasi del tutto tagliata fuori dagli interventi. Si tratta dell’Africa centrale e occidentale, dove vivono quasi cinque milioni di malati, cifra da vera e propria emergenza umanitaria.

Un altro paese africano ad altissimo rischio – seppur con un’assistenza generalmente più adeguata – è il Sudafrica, con sette milioni di sieropositivi. Ed è lì che la ricerca ha compiuto un passo rilevante, ed è un passo italiano (che segue un finanziamento di 22 milioni di euro dalla Farnesina). E’ stato testato con successo, in un esperimento che ha coinvolto 200 pazienti, il “vaccino Tat”, sviluppato nei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Si tratta di una proteina che permette la replicazione del virus e, così, incrementa significativamente le cellule immunitarie “T CD4”, moltiplicando l’efficacia dei farmaci anti-Hiv.

Un esempio di eccellenza”, si congratula il presidente dell’Iss Walter Ricciardi. Un segnale di quanto si possa fare, quando c’è la volontà dei governi a sostegno della ricerca. E quando l’informazione non abbassa la guardia.

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