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Nel diabete di tipo 2 i controlli e la terapia sono salvifici. Tuttavia è bene anche non esagerare, perché un eccesso di test e di dosaggi farmacologici può addirittura risultare controproducente.

Nel diabete di tipo 2 i controlli e la terapia sono salvifici. Tuttavia è bene anche non esagerare, perché un eccesso di test e di dosaggi farmacologici può addirittura risultare controproducente. I medici europei ne sono generalmente abbastanza consapevoli, ma è stavolta dagli Stati Uniti – ossia proprio dalla culla della filosofia del “more is better”, anche in ambito sanitario – che arriva un documentato appello alla moderazione.

L’iniziativa è della “Mayo Clinic”, celebrata organizzazione di ricerca medica dell’Arizona. Il fatto di base, rilevato dall’endocrinologa Rozalina McCoy, coordinatrice dello studio, è un “numero esagerato di test per la glicata”, con la conseguenza di terapie “ con una quantità esagerata di farmaci, rispetto a quelli necessari visti i livelli accertati di glicata stessa”. Obiettivo della ricerca è stato allora valutare le eventuali controindicazioni di tali eccessi. Quanto poi emerso risulta in effetti preoccupante.

Sono stati analizzati i dati tra il 2001 e il 2013 di quasi 32mila pazienti americani con diabete 2, a livello “stabile” e “ben controllato”. Nessuno era in terapia con insulina o aveva avuto episodi pregressi si ipoglicemia – considerati entrambi fattori di rischio per l’insorgere di quest’ultima. Sono quindi stati esaminati distintamente i giovani e i soggetti clinicamente “complessi”, ossia gli anziani (almeno 75 anni) e i pazienti con rilevanti comorbilità (patologia renale, demenza, altre patologie croniche gravi).

Ora, è emerso anzitutto che il 18,7% dei “complessi” e il 26,5% dei “non complessi” ricevevano un trattamento ingiustificatamente “intensivo”. Poi, è stato rilevato che i primi hanno manifestato un tasso di ipoglicemie doppio rispetto agli altri, e che il trattamento aumentava il rischio di un ulteriore 77% nell’arco di due anni. In altre parole, è emerso che, soprattutto tra i “complessi”, “ il trattamento intensivo arriva quasi a raddoppiare il rischio di gravi episodi di ipoglicemia”.

In conclusione, secondo McCoy, ci si concentra “ troppo sui livelli di emoglobina glicata e si mira a obiettivi troppo bassi e ambiziosi da raggiungere per mezzo di un trattamento molto intensivo, che può creare problemi seri soprattutto ai pazienti più anziani e fragili ”. Le linee guida indicano tale livello intorno al 6,5%, ma molti scienziati consigliano di modularlo a seconda delle caratteristiche del paziente, che definiscono i rischi ipoglicemici. Bisogna curarsi, ma con moderazione. La corretta valutazione dei paletti sta ai medici, nonché ai pazienti, nonché al loro imprescindibile rapporto. E questo non vale solo per l’epatite 2.

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