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Il dramma è talmente diffuso che la “Giornata del Rifugiato”, celebrata lo scorso 20 giugno, è passata perlopiù in sordina. E con esso il richiamo della più grave delle emergenze, quella sulla salute.

Possiamo anche chiudere gli occhi e dirci che in fondo così è sempre stato. Invece no, non è mai stato così, che addirittura 60 milioni di persone siano in fuga da guerre e persecuzioni. Il dramma è talmente diffuso che la “Giornata del Rifugiato”, celebrata lo scorso 20 giugno, è passata perlopiù in sordina. E con esso il richiamo della più grave delle emergenze, quella sulla salute. Su questa, si noti, l’allarme non riguarda remoti campi improvvisati e sprovvisti di ogni cura. Riguarda anche l’Italia.

Diventare un rifugiato a causa di guerre e persecuzioni cambia radicalmente la vita di una persona, non deve cambiare il diritto alla salute e l’accesso alle cure mediche ”, ricorda Flavia Bustreo Vicedirettrice Generale, dipartimento Salute della Famiglia, Donne e Bambini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sottolineando la priorità sanitaria per tali categorie, che rappresentano almeno la metà dei profughi. “ Ci sono donne che, arrivate in Grecia o in Macedonia, riprendono il loro estenuante viaggio dopo appena 24 ore dal parto. E -aggiunge Bustreo - degli 806 migranti che si stima siano scomparsi nel Mar Egeo nella rotta verso la Grecia nel 2015, 1 su 3 era un bambino e nella maggior parte dei casi di età inferiore ai 10 anni ”.

Molto si potrebbe e si dovrebbe fare, in aggiunta all’epica dei volontari che si prestano a fare quel che possono nelle zone più impervie. L’anno scorso, sempre in sede Onu, il mondo si è impegnato a dare concreto esito agli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” (Sdg), sulla base della “Strategia Globale per la Salute” redatta nel 2010 nell’obiettivo non solo di “salvare vite”, ma di assicurare il necessario per la crescita di donne e bambini, inclusi servizi per la salute sessuale e riproduttiva nei contesti di emergenza umanitaria.

Servirebbe allora quantomeno la disponibilità di un “Minimum Initial Service Package”, quel kit di base per l’assistenza clinica. Eppure, gli obiettivi sanitari stabiliti in sede internazionale con la detta “Strategia” non sono stati ancora raggiunti nell’80% dei paesi.

Sembrano temi lontani, eppure non lo sono, neppure nelle responsabilità. Nelle scorse settimane la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, a Congresso a Torino, ha denunciato che alcune regioni non riconoscono i diritti essenziali degli immigrati, sanciti dalla legge, tra tutela dei minori, esenzioni dai ticket e, più in generale, un’attenzione concentrata essenzialmente sui “presunti rischi di importazione di malattie infettive e non sui necessari interventi di tutela e prevenzione della salute fisica e psichica”. Così non va bene, neppure in Italia.

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