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Qualcuno in Italia l’ha già ribattezzata spiritosamente così. La “pigrizia” però stavolta non c’entra, mentre la “rivoluzione” sì. Stiamo andando fuori strada. Siamo in un contesto critico nel quale c’è il dramma della disoccupazione, al quale peraltro se ne affianca un altro: chi lavora, è costretto a farlo troppo.

Qualcuno in Italia l’ha già ribattezzata spiritosamente così. La “pigrizia” però stavolta non c’entra, mentre la “rivoluzione” sì. Stiamo andando fuori strada. Siamo in un contesto critico nel quale c’è il dramma della disoccupazione, al quale peraltro se ne affianca un altro: chi lavora, è costretto a farlo troppo.

Quando lo scrivemmo già nelle settimane scorse in un pezzo “ferragostano”, l’intento non era quello di un sereno incoraggiamento a godersi le vacanze. C’era della ricerca medica dietro, in particolare dalle Università di Bologna e Trento, che lanciavano l’allarme sulle conseguenze sanitarie dell’eccesso di carico lavorativo, il cosiddetto “workalcholism”. Adesso quell’allarme si amplifica in un’indagine dell’Università di Oxford, che fornisce indicazioni ancor più “restrittive” sui tempi e orari di lavoro. Nell’orizzonte della tutela della salute, ma anche di quella controversa variabile economica che è la “produttività”.

Nel mirino dei ricercatori britannici c’è infatti perfino il “normale orario d’ufficio”, quello dalle 9 alle 17, per molti in realtà comunque un miraggio, dovendosi dimenare su tempi ben più estesi, strampalati e irregolari. Ebbene, neppure i primi vanno bene. Sarebbe dannoso per il nostro “ orologio fisiologico” iniziare a lavorare prima delle 10. Le conseguenze sarebbero l’aumento di peso, il calo delle difese immunitarie, la perdita di attenzione e di memoria, nonché un peggioramento della qualità del sonno, definito dagli studiosi un’autentica “tortura”.

E tutto questo non riguarda solo il lavoro, ma anche la scuola. Se per i bambini dell’età delle elementari cominciare alle 8.30 può starci, il cambiamento cardiaco che si innesta con la crescita sposta alle 10 il limite inferiore tra gli adolescenti, e per le universitari addirittura alle 11. Non si tratta di dati gettati a caso, sono l’effetto di alcune sperimentazioni scolastiche, per giunta in collaborazione con l’American Academy of Pediatrics.

C’è qualche paese europeo che va in quella direzione, ossia verso una riduzione dell’orario di lavoro, ma il mondo, specie in un tempo di crisi, generalmente va altrove, e presenta quella direzione come un’ineluttabile “necessità del sistema”. A detta degli scienziati, stiamo sbagliando di grosso. Quel che noi chiamiamo “rivoluzione pigra”, gli inglesi lo definiscono “emergenza sociale”. Che chiama naturalmente in causa non solo le autorità sanitarie, ma l’insieme dei decisori.

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