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L’emergenza dei “cattivi maestri” si nutre di periodiche cronache di persone che seguono sotterfugi privi di cura, oltre che di sostanza scientifica tra chi li perora. Ma la realtà è che la ricerca di “altre strade” è comprensibile tra i pazienti quando le terapie sembrano non esserci.

Facile dire “basta ciarlatani”. L’emergenza dei “cattivi maestri” si nutre di periodiche cronache di persone che seguono sotterfugi privi di cura, oltre che di sostanza scientifica tra chi li perora. Ma la realtà è che la ricerca di “altre strade” è comprensibile tra i pazienti quando le terapie sembrano non esserci. E’ importante anche per questo il significato della campagna mondiale in corso sui tumori al sangue. Perché i moniti a tenersi alla larga dagli “stregoni” resta solo sullo sfondo, mentre la sostanza del messaggio è un'altra: che da quei tumori si può guarire.

La campagna, che si protrarrà per tutto il mese, si chiama Make Blood Cancer Visible (“Rendi Visibile il Tumore al Sangue”), perché si tratta in effetti di una patologia di scarsa “visibilità”, sebbene coinvolga circa il 15% delle malattie tumorali, ossia ben 28mila nuovi casi accertati ogni anno solo in Italia. Nel nostro paese ha l’appoggio della Società Italiana di Ematologia (Sie) e della Federazione Italiana Malattie Rare Uniamo-Fimr, anche perché così viene talora trattata, come patologia “rara”, con quel che consegue sui difetti di tutela, a dispetto dei grandi numeri suddetti.

Al cuore del messaggio c’è un video, che rimanda alla boxe. Perché di questo si tratta, di una battaglia, che però può esser vinta, con l’attenzione dei pazienti e soprattutto degli operatori sanitari. Le speranze ci sono, alimentate dall’incedere quotidiano della ricerca.

Di questi giorni ad esempio la scoperta, proprio italiana, di una metodica basata sulle cellule staminali. Pubblicata sulla rivista Journal of Clinical Oncology, è centrata sulle sindromi “mielodisplastiche”, un eterogeneo gruppo di patologie del sangue che interessano il midollo osseo, specie tra gli anziani. Basata sull’identificazione di tre geni (TP53, RUNX1 e ASXL1), rivela il potenziale di predire l’esito del trapianto nell’arco di 48 ore.

E’ solo un esempio del tanto che si muove nel campo di tumori, i quali, parola del presidente del Sie Fabrizio Pane, “sono oggi più curabili grazie anche alle nuove conoscenze sulle alterazioni molecolari che sono presenti a livello genomico e che consentono di definire specifiche sottocategorie di malati, e grazie alla farmacogenomica che ha aiutato a definire la cura più adatta alla natura del tumore – con la conseguenza – di aprire la strada verso trattamenti 'cuciti su misura' per ogni paziente”. La prima arma comunque resta ancora la stessa – ricorda Pane e l’insieme degli studiosi – ed è quella di una diagnosi tempestiva.

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