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Molto si discute anche in questi giorni sul tema dei costi sanitari, coinvolgendo tra l’altro tensioni e dichiarazioni governative sul nodo delle intenzioni di spesa nel settore. Il tema è però ben più esteso di quello delle “somme”, in quanto può esser decisivo “come” vengono spese, e “quanto” si potrebbe risparmiare.

Molto si discute anche in questi giorni sul tema dei costi sanitari, coinvolgendo tra l’altro tensioni e dichiarazioni governative sul nodo delle intenzioni di spesa nel settore. Il tema è però ben più esteso di quello delle “somme”, in quanto può esser decisivo “come” vengono spese, e “quanto” si potrebbe risparmiare allargando le possibilità di cura anziché comprimerle. Il nodo degli sprechi è al cuore della politica sanitaria, e per giunta chiama tutti alla responsabilità, inclusi medici e pazienti - come ben sanno le loro associazioni, a iniziare da Cittadinanzattiva - perché alle questioni di efficienza organizzativa si aggiungono quelle dell’appropriatezza prescrittiva, dell’aderenza terapeutica e naturalmente dei costi dei farmaci.

L’ultimo aggiornamento in proposito arriva da uno studio della sezione giovanile del sindacato dei medici, l’Anaao Assomed, pubblicato dal Sole 24 Ore. Non mancano gli atti d’accusa verso i decisori, tra “l’ eccessiva eterogeneità regionale e locale che si ripercuote in diseguaglianze all'accesso dei servizi, scarsa valorizzazione del capitale umano, mancanza di programmazione, assenza di coordinazione tra ospedale e territorio, turn-over eccessivo dei direttori generali, riorganizzazioni aziendali spesso decise su basi politiche”.

E poi c’è lo scarso peso della prevenzione, pari a solo il 4,2% della spesa sanitaria pubblica, il che costituisce di per sé uno spreco in quanto “è causa di crescita di costi futuri legata al peggioramento delle condizioni di salute della popolazione”, con particolare riferimento alle “ Regioni coinvolte dai piani di rientro”.

Tutt’altro che secondario il nodo dei farmaci. Da un’indagine pubblicata sul British Medical Journal emerge che addirittura il 10% del volume dei medicinali erogati in Italia finisce nel cestino, pari a un valore annuo di 1,6 miliardi di euro. Problemi di appropriatezza, e soprattutto di aderenza, considerando ad esempio che nell’ultimo anno un paziente su tre non ha seguito correttamente le terapie antibiotiche.

Qui s’incrocia, pesantemente, il nodo dei costi, che spinge tanti, troppi italiani, a rinunciare o ad abbandonare le cure. E qui c’è anche un elemento di speranza, considerando che i brevetti farmaceutici in scadenza sono stimati da qui al 2020 a un valore complessivo di oltre 2,1 miliardi di euro. In altre parole, stando a stime realistiche, il ricorso a farmaci generici genererà in tale lasso un risparmio di almeno 1,1 miliardi, solo per i medicinali di classe A.

Si tratta di una variabile di primaria importanza, come sottolineato in questi mesi anche dalla campagna “IoEquivalgo” di Cittadinanza che sta attraversando le città italiane di ogni latitudine, ricordando l’assoluta equivalenza nei principi attivi, efficacia e sicurezza terapeutica dei generici, in aggiunta a quel rilevante risparmio che può far la differenza sulla possibilità o meno di curarsi. Anche non saperlo è uno spreco. E non è un caso che la prima tappa del tour avviato dalla principale rete associativa italiana in favore degli equivalenti, lo scorso maggio a Fiuggi, sia stata proprio nell’ambito della sua festa annuale contro gli sprechi.

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