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Si chiamano “rare”, ma l’aggettivo è fuorviante, perché sono tantissime e colpiscono tantissimi. Il nome giusto sarebbe “senza diagnosi”, o quantomeno di difficile accertamento. Si sta male, e non si sa di che si tratta.

Si chiamano “rare”, ma l’aggettivo è fuorviante, perché sono tantissime e colpiscono tantissimi. Il nome giusto sarebbe “senza diagnosi”, o quantomeno di difficile accertamento. Si sta male, e non si sa di che si tratta. Eppure molto si può fare lo stesso, perché con la giusta attenzione del medico la possibilità di cura può trovarsi, ed è una strada da percorrere con urgenza, specie quando si tratta di bambini. Da qui l’idea di un ambulatorio pediatrico apposito, il primo in Italia, all’ospedale Bambino Gesù di Roma, nella speranza di rapide emulazioni.

Il tema è serio e vasto, considerando che più di un milione di minori in età pediatrica (sotto i 16 anni) risulta affetto da una “malattia rara”. Il 60% è poi costretto ad attendere due anni per una corretta diagnosi, e il 40% ne rimane privo. Cifre inaccettabili, alla luce dei progressi della medicina e della tecnologia.

E per le famiglie il risultato è spesso quello di un’odissea. “ Tendono a spostarsi tra i diversi Centri alla ricerca di risposte diagnostiche e assistenziali Nonostante la disponibilità di cartelle cliniche spesso corpose contenenti numerose indagini strumentali e di laboratorio non risolutive, la presa in carico di questi pazienti è penalizzata e ritardata dalla mancanza di conoscenze sulle basi biologiche della malattia, sulla sua storia naturale, sui bisogni assistenziali e sugli specialisti da coinvolgere nell’assistenza ”, spiega il dottor Andrea Bartuli, responsabile dell’ambulatorio.

Da tali esigenze scaturisce l'iniziativa di rendere l’ambulatorio consultabile anche a distanza, all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. C’è infatti la risorsa di una “rivoluzione tecnologica” che agisce in due direzioni. Quella della possibilità di contatto e risposta a distanza da parte di un “case manager”, incaricato di fare da ponte tra gli specialisti.

La seconda è quella che investe la genetica. L’origine di queste malattie è in molti casi di tale natura, e il 30% dei malati orfani di diagnosi può essere inquadrato tramite le analisi “esomiche”, capaci di incrociare i dati genetici di almeno un paio di generazioni. L’approccio è dunque quello multidisciplinare, capace di incrociare diverse competenze e metodi per arrivare al dunque. Soprattutto, di arrivarci mettendo in comunicazione i medici, anziché costringere le famiglie a itinerari infiniti, quanto, spesso, privi di esito.

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