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Ci sono diabetici e diabetici. Alcuni sono curati bene, altri nient’affatto. E se la differenza si produce nello stesso Paese, a seconda della latitudine, il fatto assume una valenza inaccettabile.

Ci sono diabetici e diabetici. Alcuni sono curati bene, altri nient’affatto. E se la differenza si produce nello stesso Paese, a seconda della latitudine, il fatto assume una valenza “inaccettabile”, nelle parole di Albino Bottazzo, presidente della Fand, estesa associazione italiana dedicata ai diabetici, promotrice di un incontro nazionale in questi giorni a Roma il cui titolo è già un atto d’accusa: “Diabete: no a discriminazioni fra malati”.

Si tratta della patologia cronica più diffusa in Italia, con oltre tre milioni di persone affette. Solo che la loro assistenza è un’entità variabile in base al luogo in cui risiedono, in base non solo alla qualità sanitaria complessiva delle strutture regionali, ma perfino della loro normativa di riferimento.

C’è una legge nazionale, la 115 dell’87, che garantisce il diritto, e quindi la gratuità dei dispositivi per l’autocontrollo glicemico (i cosiddetti “stick”), fondamentali alla prevenzione nonché a un minor ricorso agli ospedali. Ne è seguita però una babele di delibere regionali, allargata poi nel 2001 dalla modifica del Titolo Quinto della Costituzione, e rilevata anche da un'indagine conoscitiva del Senato nel 2012, oltre che dall'Istat.

L’esito paradossale è che variano le leggi, a dispetto di quella che dovrebbe essere la “variabilità utile”, ossia la possibilità di utilizzare il dispositivo più adatto alla situazione specifica paziente. Alcune regioni garantiscono la possibilità di sceglierlo, con l’ausilio del medico, solo per i pazienti di tipo 1, e non per quelli di tipo 2, che rappresentano circa il 90% dei casi accertati. In tali aree, il tutto è demandato a gare d’acquisto centralizzate e non al parere degli specialisti in relazione all’appropriatezza dei singoli casi. “ Dovrebbe spettare a loro scegliere e prescrivere il presidio più adeguato sulla base delle caratteristiche cliniche, psico-attitudinali e sociali ”, protesta Bottazzo.

Questione di equità nel trattamento sanitario, esigenza etica e perfino costituzionale. Ma il nodo è anche nei costi. “Centralizzare” lo strumento terapeutico non fa risparmiare, fa spendere di più. La ragione è semplice, il 4% dei costi sostenuti dai Servizi sanitari regionali per il diabete va nei dispositivi (dal controllo glicemico ai microinfusori e siringhe), mentre il 50% è dovuto ai ricoveri per complicanze spesso evitabili. In altre parole, prevenire poco e curare male non fa risparmiare nessuno, né i singoli né la collettività, anzi moltiplica gli oneri. Questo vale per il diabete, e in fondo per tutto il resto.

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